BL Ball Lightning Fulmini Glubulari
EL Earth Light Luci Telluriche
HELP Hessdalen-Like Phenomena

CIPH
Comitato Italiano per il Progetto Hessdalen
Italian Committee for the Project Hessdalen


Introduzione alle luci sismiche

di Massimo Silvestri max.silve@libero.it
Bologna, Settembre 1999 -2001


4. Ipotesi e teorie

Diverse teorie sono state avanzate a spiegazione delle EQL, ma nessuna risulta completamente soddisfacente. Questo perchè non tutte le EQL traggono origine dalle medesime cause. In alcuni casi, la causa probabile delle luminescenze al suolo può essere ricondotta all'accensione di gas fuoriusciti dalle crepe prodottesi nel terreno, mentre in altri (come lampi e bagliori in cielo), l'origine puo' essere l'elettricità atmosferica dovuta al terremoto. Come vedremo la maggior parte delle teorie proposte chiama in causa la presenza di campi o cariche elettriche che, mediante scarica o ricombinazione, generano quei fenomeni luminosi identificati come luci sismiche. Ciò che differenzia queste teorie "elettriche" sono le modalità con cui le forze tettoniche generano i campi o attuano una separazione di carica.

 

Ipotesi piezoelettrica

Alcuni cristalli dielettrici, come il quarzo, presentano una proprietà elettrica peculiare: quella di generare un accumulo di cariche elettrostatiche, di segno opposto, all’estremità di uno degli assi polari se sottoposti a compressione meccanica. Questa separazione di cariche genera un campo elettrico che permane fintanto che si mantiene inalterata la compressione. L’intensità del campo elettrico di un singolo cristallo è praticamente trascurabile, ma sommando l’azione di una gran quantità di cristalli, il campo risultante potrebbe raggiungere un’intensità ragguardevole, tale da superare il gradiente dielettrico del mezzo in cui si trova e generare quindi una scarica elettrica con possibili emissioni luminose. Questo meccanismo è stato indicato da alcuni ricercatori (Finkelstein, Powell, Hill) come il responsabile di alcune forme di EQL [25, 26, 27].
Il quarzo è un elemento molto diffuso nella crosta terreste; il terremoto di Izu (Jpn) del 26 novembre 1930, con i casi meglio documentati sulle EQL (1500 testimonianze) avvenne in una zona lavica con elevato contenuto di quarzo, quindi il coinvolgimento di questa proprietà elettrica non è da trascurare.
Nella formulazione della loro teoria, i ricercatori Finkelstein e Powell, calcolarono che un’onda sismica con frequenza compresa tra 1 e 10 Hz e che eserciti una variazione di pressione da 30 a 300 bar, potrebbe generare un campo elettrico medio da 500 ~ 5000 V/cm. Su una distanza di mezza lunghezza d’onda sismica, si otterrebbe un gradiente di potenziale paragonabile a quello che genera i fulmini in una normale tempesta atmosferica (5x107 ~ 5x108 V). In questa maniera un forte campo elettrico in superficie potrebbe generare quelle scintille, lampi e bagliori all’origine di molte EQL.
Unico punto debole, il fatto che per supportare un gradiente di potenziale così elevato sia necessaria una resistività del terreno estremamente elevata (109 Ohm x metro), mentre nella realtà il valore misurato risulta di soli 300 ~ 3000 Ohm x metro; questo ha fatto sì che venissero introdotti nuovi parametri correttivi per poter sostenere ulteriormente la validità di questa ipotesi. Un valido supporto alla piezoelettricità fu fornito dalle numerose esperienze di laboratorio condotte su campioni di roccia di varia natura. A partire dal 1970 la comunità scientifica tentò di replicare in ambiente controllato quei fenomeni che si manifestano durante il terremoto. La presenza d’inequivocabili fotografie di EQL e i rapporti su interferenze elettromagnetiche durante i terremoti, sollevarono parecchi quesiti che stimolarono i ricercatori a determinarne le cause. Da tempo ci si era accorti che in concomitanza di un sisma venivano emesse onde elettromagnetiche. Una delle prime testimonianze può essere fatta risalire, anche se non ne comprese pienamente il significato, al sisma che colpì il Piemonte il 23 febbraio 1887. Come riferì il sismologo Mercalli, negli istanti che precedettero il sopraggiungere della scossa, inspiegabilmente il telegrafo della stazione di Santa Vittoria d’Alba iniziò a ricevere segnali Morse. Con molta probabilità la linea telegrafica si comportò come un’antenna in grado di ricevere le forti emissioni elettromagnetiche generate dal terremoto [4].
Durante il terribile terremoto cinese di Tangshan (M = 7,8) del 28 luglio 1976 (che generò memorabili EQLs), furono captate strane interferenze nelle comunicazioni radio, civili e militari, a partire da 5 giorni prima della data del sisma. Prima del sisma di Longling (M 7,5 ~ 7,6) del 26 maggio 1976, furono captati disturbi radio mentre venivano segnalate luci sismiche [28].
Nuovi rilevamenti strumentali mirati vennero eseguiti da ricercatori in tutto il mondo e si scoprì che le emissioni RF (radiofrequenza) coprivano uno spettro di frequenze che andava da pochi Hz alla decina di Mhz (106 Hz).
Forse il rilevamento più enigmatico fu quello realizzato dal gruppo di Gokhberg e Morgounov, vicino Tokyo, il 31 marzo 1980. Utilizzando un apposito ricevitore radio, riuscirono a percepire un intenso segnale RF 30 minuti prima dello scatenarsi di un forte terremoto (M 7), avvenuto a 250 Km di distanza e alla profondità di 480 Km.
Il segnale fu captato nella banda ELF da 10 a 1500 Hz e a 81 Khz (81x103 Hz).
Ma la cosa veramente strana, che non venne mai spiegata (ammettendo che il segnale RF provenisse dalla zona focale del terremoto) fu come si rese possibile la propagazione del segnale elettromagnetico da una simile profondità fino alla superficie, dal momento che un segnale a 81 Khz riesce a penetrare solamente pochi metri nel terreno prima di attenuarsi completamente [29].
Attualmente il rilevamento di RF nello spettro delle ELF-VLF è utilizzato come elemento di studio per la previsione sismica [30].
Le prove di laboratorio confermarono la realtà di queste osservazioni e una delle prime esperienze fu quella condotta dal ricercatore Nitsan U. (1977) [31].
L’esperimento consistette nel sottoporre diversi campioni di roccia a compressione fino ad una loro completa distruzione e, nello stesso tempo, tentare di ricevere eventuali segnali RF emessi dal materiale sottoposto a stress. L’apparato di rilevamento era costituito da una antenna (bobina avvolta su ferrite) posta vicina al campione da testare. L’eventuale segnale rilevato sarebbe stato amplificato e inviato ad un registratore di transitori.
Nitsan dimostrò che tutti i materiali contenenti minerali piezoelettrici come quarzo, granito e arenaria, se sottoposti a compressione, emettevano segnali RF, cosa che non avveniva con quei campioni che n’erano privi, come basalto, calcare e ossidiana.
Allontanando e riavvicinando l’antenna ai campioni testati venne dimostrato che, se vi era un segnale RF, questo proveniva realmente dalla roccia presa in esame, in quanto non appena l’antenna veniva allontanata, si notava un’attenuazione del segnale rilevato fino ad una sua completa sparizione. Nitsan osservò che il segnale RF, di natura transitoria, era correlato al verificarsi di crepe e fratture nella struttura cristallina, e copriva una gamma di frequenze da 0,1 a 10 Mhz.
Il meccanismo candidato a spiegazione di queste emissioni RF, sarebbe una rapida caduta del campo piezoelettrico dovuto alla frattura della struttura cristallina.
Nel tempo vennero ripetuti nuovi esperimenti che condussero ai medesimi risultati ottenuti da Nitsan [32, 33, 34].

 

Campo elettrico dovuto al contatto o alla separazione di materiali rocciosi

Quando due tipi di rocce giungono a contatto, si genera un gradiente di tensione dovuto alla diversa composizione chimica dei materiali, creando un accumulo di cariche elettriche lungo la superficie di contatto. Questa situazione permane fintanto che, col passare del tempo, non si riottiene un equilibrio elettrico dovuto ad un completo passaggio d’elettroni dalla zona con potenziale maggiore a quella minore. Questa momentanea separazione di carica genera un campo elettrico modesto, ma trasportando il fenomeno su scala macroscopica, come può avvenire per un terremoto che interessa una zona molto ampia, si potrebbero ottenere campi elettrici talmente intensi da determinare la formazione di EQL. L’instaurarsi di un campo elettrico avverrebbe anche con un’azione diametralmente opposta a quella vista precedentemente. La separazione istantanea di due rocce (come potrebbe avvenire con la comparsa di crepe e fratture), darebbe origine ad un gradiente di potenziale lungo la superficie di rottura, con l’instaurarsi di un passaggio d’elettroni, mediante un processo fisico detto "effetto tunnel". Anche in questo caso il campo elettrico generato da un fronte molto ampio di scontro potrebbe essere in grado di determinare la comparsa di luci sismiche [32].

 

Triboelettricità e piroelettricità

Nelle loro ricerche, Musya e Terada  raccolsero varie testimonianze di luci osservate lungo i fianchi delle montagne, in concomitanza con frane e valanghe. Le cause di queste luminescenze furono ricondotte a due fenomeni fisici distinti, che possono apparire contemporaneamente durante una frana: la triboelettricità e la piroelettricità.
La triboelettricità è la proprietà che alcuni materiali hanno di elettrizzarsi per strofinio o frizione. Considerando che l’attrito, se intenso, genera calore, può subentrare un altro meccanismo di elettrizzazione: la piroelettricità.
In questo caso alcuni cristalli come la tormalina, se riscaldati, danno luogo ad una separazione di carica lungo le facce opposte della loro struttura.
Trasportando il/i fenomeno(i) su larga scala si potrebbero raggiungere valori di campo elettrico elevati.
In conclusione, durante una frana, lo slittamento di masse rocciose può determinare l’insorgere di quelle luminescenze, spesso riportate dai testimoni, lungo le pendici di colline e montagne [10, 11].

 

Moti oscillatori dell’aria a livello del suolo

J.E. McDonald (fisico atmosferico) alla fine degli anni ’60  analizzò vari casi di terremoti con presenza di luci e arrivò alla conclusione che uno dei possibili meccanismi alla base delle EQL  risieda nelle violente perturbazioni trasmesse dal suolo, durante una scossa, alle masse d’aria sovrastanti. Queste perturbazioni creerebbero rapidi moti ascensionali, i quali trasporterebbero con sé eventuali cariche elettrostatiche presenti. Da questo rapido spostamento, si creerebbe un gradiente di tensione  che porterebbe alla formazione di luci sismiche  mediante quei fenomeni di scarica precedentemente riportati [2, 9].

 

Scarica elettrochimica luminescente

Il chimico Tributsch H. suggerì che le EQL e altri segni precursori possano essere in parte causati da un aumento di cariche elettrostatiche nell’atmosfera sovrastante la zona epicentrale (elettricità atmosferica). La causa di questo aumento di cariche libere sarebbe la scarica elettrochimica luminescente. Il fatto che i terremoti influenzino il clima, aumentandone l’elettricità atmosferica, è cosa risaputa da tempo.
Il primo ad accorgersi di questo fatto fu l’esploratore naturalista tedesco A. von Humboldt che nel 1799 venne sorpreso a Cumana (Venezuela) da una serie di terremoti. Humboldt, durante il sisma, ebbe la prontezza di eseguire una serie di rilevamenti meteorologici (pressione, temperatura, carica elettrica atmosferica), riuscendo a determinare, con un elettrometro tascabile, un considerevole aumento di elettricità nell’aria (carica elettrostatica). Ad un medesimo risultato pervenne Vassalli Eandi, sismologo italiano, durante il sisma piemontese del 1808. L’ipotesi di Tributsch si fonda sul fatto che il quarzo, dalle proprietà piezoelettriche, è un minerale molto diffuso nella crosta terrestre e in presenza di onde di compressione (scossa sismica) creerebbe gradienti di potenziali elevatissimi. I bassi valori di resistività del terreno non riuscirebbero a sostenere questa separazione di cariche e determinerebbero l’insorgere di correnti elettriche attraverso i vari strati del terreno.
La crosta terrestre non è formata da un insieme di rocce compatte, uniformemente distribuite, bensì vi sono fratture e cavità che possono essere riempite dall’acqua. La corrente elettrica, attraversando questo sistema complesso, stimola l’insorgere di due ben precisi fenomeni elettrochimici. Il primo è l’instaurarsi di un processo elettrolitico dell’acqua, con la separazione dei due elementi che la costituiscono, quali l’ossigeno e l’idrogeno e, se l’intensità della corrente lo permette, l’emissione elettrolitica dei sali eventualmente disciolti.
Il secondo processo è noto presso i laboratori di chimica col termine di scarica elettrochimica luminescente. Se in una cella elettrolitica si solleva uno dei due elettrodi al di sopra della superficie acquosa, lasciando una sottile pellicola d’aria, tra l’elettrodo e il liquido continuerà a scorrere la corrente manifestando un effetto luminescente.
In questa reazione quello che più interessa non è tanto la luminescenza in sé, quanto il fatto che la reazione non sarebbe più equiparabile a un processo elettrolitico, bensì a quello in cui vengono liberate radiazioni ionizzanti nel campo dell’ultravioletto e radiazioni a a bassa energia.
La condizione che porta a questo processo è che fra i due elettrodi vi sia una differenza di potenziale da 500 a 800 Volt.
La corrente che scorre attraverso la pellicola d’aria è di natura ionica (ione positivo dell’acqua H+). Questi ioni sono accelerati dalla ddp presente fra elettrodo e superficie acquosa e giungendo a contatto con l’acqua ne generano degli altri, avendo come risultato finale la formazione di una notevole quantità di ioni positivi.
Il trasportare questo processo all’interno della crosta terrestre non risulta una operazione errata; infatti, l’aumento di stress tettonico, nelle zone in cui si scatenerà il sisma, porta alla formazione di crepe e fratture, prontamente riempite dall’acqua, sempre presente nel sottosuolo. Sacche di aria e acqua intrappolate nella crosta terrestre e sottoposte a quelle correnti telluriche precedentemente esaminate, darebbero vita a questo processo elettrochimico. Gli ioni liberati in parte si ricombinerebbero nella loro corsa verso la superficie, mentre la restante si riverserebbe nell’atmosfera.
Quest’aumento di cariche libere abbasserebbe il gradiente dielettrico del mezzo (aria), facilitando l’insorgere di quei fenomeni luminosi legati a meccanismi di scarica elettrica quali effetti corona, fuoco di Sant’Elmo e fulmini [4, 17, 18].

 

Emissione exoelettronica

Nel 1986 Brady e Rowell condussero una serie di esperimenti che diedero risultati inaspettati. Per verificare le ipotesi avanzate fino a quel momento di luminescenze prodotte tramite compressione di masse rocciose, Brady e Rowell vollero eseguire diverse analisi spettrografiche nel campo del visibile e del vicino infrarosso.
Questo avrebbe permesso la discriminazione di quale meccanismo o serie di processi sia alla base del fenomeno. Fino a quel momento la comunità scientifica avanzò teorie coinvolgenti la piezoelettricità; il riscaldamento fino all’incandescenza di materiali rocciosi; l’emissione di plasma da frantumazioni di rocce oppure l’emissione d’elettroni o aerosol ionizzati che, interagendo con i gas atmosferici, emetterebbero radiazioni e.m. nel visibile.
Pertanto, attraverso l’analisi spettrografica, si sarebbe potuto confermare o rigettare la validità di una qualunque di queste ipotesi.
Dal momento che non esistevano precisi dati spettrografici, Brady e Rowell vollero condurre diversi esperimenti, al fine di ovviare a questa mancanza.
Ciascuna ipotesi proposta avrebbe generato uno spettro ottico dalle caratteristiche inconfondibili. La radiazione ottica dovuta a riscaldamento per attrito avrebbe fornito uno spettro continuo nella regione del visibile simile a quella emessa da un corpo nero posto alla medesima temperatura. Se si fosse trattato invece di luminescenza dovuta a fenomeni di scarica prodotti da processi piezoelettrici, lo spettro avrebbe contenuto linee caratteristiche degli elementi eccitati. Nel caso invece che l’emissione luminosa fosse dovuta a plasma, l’analisi spettrografica avrebbe rilevato uno spettro continuo, con sovrapposte linee d’emissione causate da interazioni elettromagnetiche avvenute all’interno del plasmoide. Infine, se la luminescenza fosse dipesa da interazioni fra gas atmosferico ed elettroni emessi dalle rocce (sottoposte a stress), si sarebbero avute linee spettrali tipiche di quei gas eccitati.
Brady e Rowell scelsero due soli tipi di rocce da testare: basalto e granito.
Il basalto è privo di cristalli dalle proprietà piezoelettriche, mentre il granito ne è ricco.
Scelsero anche la composizione atmosferica in cui si sarebbe attuata la compressione dei campioni: in argon, in elio e in aria (tutti a pressione atmosferica), in acqua e nel vuoto spinto. Gli spettri così ottenuti mostravano che, sia i campioni di granito (piezoelettrici) che quelli di basalto (non piezoelettrici), si assomigliavano per medesimo ambiente di test.
Ogni spettro fornì, a prescindere dal tipo di roccia utilizzato, linee spettrali tipiche dell’ambiente atmosferico in cui venne effettuata l’esperienza. Niente spettro continuo nè linee d’emissione dovute al plasma, ma linee spettrali di argon, elio e dei vari gas contenuti nell’atmosfera standard. Si ottennero emissioni luminose anche dai campioni di granito immersi nell’acqua, che fornirono come spettro quello dell’idrogeno atomico.
Nel vuoto (10-6 torr) lo spettro che si ottenne era meno chiaro, ma non appariva nè una banda continua, nè linee riconducibili al materiale testato. Comparando questo spettro con quello ottenuto in un vuoto meno spinto ( tubo di Geissler a 10-3 torr), Brady e Rowell riconobbero che era quello dell’aria ( non esiste un vuoto assoluto, per cui le linee spettrali erano dovute a quei pochi atomi o molecole di gas ancora presenti).
In conclusione i due ricercatori riscontrarono che il fenomeno responsabile della luminescenza, in questo caso, risiedeva nel bombardamento della componente atmosferica da parte di elettroni emessi dalle rocce sottoposte a compressione.
Inoltre vennero suggeriti due concetti fondamentali: che le EQL potevano essere prodotte da terremoti di magnitudine modesta e che le luci potevano manifestarsi anche in acqua, avvallando quelle testimonianze di EQLs in mare (cosa che fino allora non era ritenuta possibile, in quanto la concezione dominante era che le luci da terremoto fossero dovute a ricombinazione di cariche elettrostatiche libere o forti campi elettrici; fenomeni che non potevano sussistere in un ambiente fortemente conduttivo come quello dell’acqua) [35, 27].

 

Ipotesi della frizione - vaporizzazione

Lockner, Johnston e Byerlee, studiando i fenomeni geofisici che avvengono nelle profondità della crosta terrestre in presenza di un terremoto, avanzarono nel 1983 una nuova ipotesi a chiarimento delle EQL.
Durante un terremoto, nella zona focale si genera un riscaldamento delle rocce causato dalla presenza di un forte stato di compressione tettonica. In questi frangenti l’acqua, presente sotto forma di umidità o all’interno di eventuali sacche, evapora determinando la comparsa di cariche elettriche libere mediante il ben noto processo di Lenard.
Infatti, in presenza di una rapida vaporizzazione o nebulizzazione dell’acqua, si attua un’istantanea distruzione della tensione superficiale del liquido che porta alla comparsa di cariche elettrostatiche. Nel frattempo, l’apporto di calore dovuto allo scontro delle masse tettoniche, continua a far lievitare la temperatura, determinando una diminuzione della resistività elettrica nelle rocce sottoposte a riscaldamento.
Questo processo crea un canale ad alta conducibilità dove, concentrandosi le cariche precedentemente liberate, determinerà l'insorgere di un forte campo elettrico; se il processo poi si sviluppa a profondità non elevata, il campo generatosi influenzerà il gradiente elettrico atmosferico stimolando la comparsa di fenomeni luminosi quali scariche coronali e fulmini [1].

 

Ipotesi elettrocinetica dell’acqua (potenziale z)

Alcuni ricercatori giapponesi non ritennero sufficientemente valida l’ipotesi piezoelettrica per le EQL osservate a Matsushiro dal 1965 al 1967. In effetti, si potrebbe sviluppare un intenso campo elettrico, come somma dei singoli campi piezoelettrici, solo se tutte le strutture cristalline fossero allineate nella medesima direzione. In caso contrario l’orientamento casuale dei minerali porterebbe ad un annullamento reciproco dei singoli effetti. Mizutani e Ishido videro nello scorrimento sotterraneo delle acque la causa scatenante delle luci sismiche avvenute in questa regione.
Ponendo a contatto due materiali di natura chimica differente, si viene a creare un gradiente di potenziale lungo la superficie di giunzione (dovuto ad un accumulo di cariche positive da un lato e negative dall’altro). Il processo si complica se uno dei due composti risulta una soluzione acquosa (acqua e sali) in movimento. Anche in questo caso, lungo le pareti di contatto si crea una barriera di potenziale (elettrico), con relativo accumulo di cariche di segno opposto lungo ciascuna superficie. Supponendo che la parte solida sia a potenziale negativo, nella soluzione acquosa si determina una scissione di cariche in H+ (ioni idrati) e OH-, con la tendenza degli ioni idrati (H+) a diffondersi all’interno dello strato solido, mediante un processo osmotico. Con quest’evento si forma uno strato di ioni (H+) fermamente vincolati lungo le pareti di contatto.
Considerando il fatto che la soluzione elettrolitica è in movimento e che vi sono delle cariche vincolate alle pareti, le restanti (OH- e in parte H+) determinano, con il loro scorrere, l’insorgere di una barriera di potenziale (z potenziale) con relativo campo elettrico.
L’intensità di questo campo dipende dalla concentrazione delle sostanze disciolte, dal pH, dalla pressione e temperatura della soluzione acquosa. Questo processo, trasportato su larga scala, è quello che avrebbe determinato la comparsa delle EQL a Matsushiro (secondo l’ipotesi avanzata da Mizutani e Ishido). Il campo elettrico risultante dallo scorrere dell’acqua, in una fitta rete di pori e fratture, potrebbe raggiungere valori d’intensità tali, da permettere la comparsa di fenomeni luminosi atmosferici (effetto corona e fulmini). Inoltre il fenomeno elettrocinetico potrebbe manifestarsi anche nelle fonti idrotermali, dove la presenza di sostanze disciolte, la pressione raggiunta dell’acqua e la temperatura ne favorirebbero la comparsa [15, 16].

 

I campi elettrici e l’accelerazione di cariche atmosferiche

Una delle ultime teorie proposte in ordine di tempo per le EQL, è quella avanzata dai giapponesi Ikeya e Takaki (1996). Analizzando i meccanismi fino a quel momento suggeriti, non li trovarono pienamente soddisfacenti, specialmente quelli basati su processi di natura elettrica. Triboelettricità, piezoelettricità e il processo elettrocinetico dell’acqua possono generare solo cariche elettrostatiche transitorie, in quanto la resistività del terreno non sarebbe in grado di sostenerle a lungo. Per questo motivo l’intensità dei campi elettrici prodotti da questi processi, non riuscirebbero mai a raggiungere quei valori per i quali si manifesterebbero dei fenomeni luminosi mediante scarica quali effetti corona, scintille e fuochi di Sant’Elmo. L’ipotesi suggerita dai due giapponesi è che i processi precedentemente elencati, come quello piezoelettrico, possa intervenire per creare un particolare campo elettrico modulato lungo la zona di rottura (ipocentro). Il campo avrebbe caratteristiche impulsive, in quanto i minerali piezoelettrici, stimolati dalle onde sismiche, determinerebbero la comparsa di cariche elettriche momentanee che si ricombinerebbero entro breve tempo, grazie alla bassa resistività del terreno. Questa sequenza di separazioni e ricombinazioni di cariche, determinerebbe appunto l’andamento impulsivo del campo ed estendendo la sua sfera di influenza nella bassa atmosfera, andrebbe ad imprimere un’accelerazione a quelle particelle libere (elettroni) che normalmente sono presenti a bassa quota (la densità di carica è massima a livello della ionosfera e diminuisce a mano a mano che ci si abbassa di quota).
Le cariche accelerate andrebbero a collidere con le molecole dei gas atmosferici (ossigeno e azoto), stimolando l’emissione di fotoni, in numero tale, da essere percepiti come EQL [36].
Un’importante implicazione emergente da questa teoria è l’aver legato processi litosferici con quelli atmosferici. Visto che uno dei maggiori quesiti posti dalle EQL è che non sempre si manifestano, questo potrebbe essere spiegato non solo dal fatto che nella litosfera non si sono avuti tutti quei processi necessari alla loro apparizione, ma anche di un’eventuale mancanza di condizioni favorevoli (o processi) in atmosfera. In ultimo, visto che la principale sede deputata alla creazione di cariche elettriche atmosferiche è la ionosfera, e conoscendo il suo intimo legame con il Sole, potrebbero esistere particolari stati del nostro astro che favorirebbero, durante il terremoto, l’insorgere dei fenomeni luminosi fin qui descritti.

 

Ipotesi fonoluminescenza

Fra le varie testimonianze riguardanti le EQL, emergono rapporti che riferiscono di luci viste in mare, spostarsi lungo le coste oppure avanzare all’interno di un Tsunami (onde gigantesche prodotte dai maremoti). Questi rapporti spinsero alcuni ricercatori ad investigare altri processi fisici che potessero permettere il verificarsi di simili eventi. Si giunse così ad indagare sul processo fisico della fonoluminescenza.
La fonoluminescenza (o sonoluminescenza) è un processo nel quale avviene una conversione diretta del suono in luce. Questo fenomeno, tanto semplice da realizzare ma non del tutto compreso, fu scoperto agli inizi degli anni ’30 (XX secolo), quando Frenzel e Schultes (1934) riuscirono a produrre una bolla luminosa stimolando l’acqua con onde sonore. Una bolla d’aria immersa in acqua, quando viene colpita da onde sonore ad alta frequenza, ne rimane intrappolata e viene dato il via ad un processo di espansione e compressione della bolla medesima. La superficie della sfera implode verso il centro a velocità supersonica per poi riesplodere alle dimensioni originali con altrettanta velocità.
Il ritmo di queste pulsazioni è legato alla frequenza utilizzata; perciò una bolla d’aria può pulsare regolarmente anche 30000 volte al secondo.
Durante questo processo la temperatura interna della bolla raggiunge valori superiori a quelli registrati sulla superficie del Sole, con emissione luminosa nella gamma dei blu e dell’ultravioletto. Ritornando alle EQL, Johnston A. formula l’ipotesi che durante un sisma le onde di compressione (p, onde prime), propagandosi all’interno di masse d’acqua, stimolino l’insorgere di queste manifestazioni luminose grazie al processo precedentemente indicato [37, 38, 39, 40, 41, 42, 43].

 

Ipotesi dei gas (chemiluminescenza, combustione)

In ultimo, analizziamo l’ipotesi della fuoriuscita di gas dal sottosuolo, come causa scatenante delle EQL. Il fattore gas fu una delle prime cause su cui si concentrò la comunità scientifica fin dal secolo scorso (XIX sec). Dalle testimonianze raccolte dal Galli nel suo catalogo sulle luci sismiche, appare chiara l'implicazione di questo meccanismo, dal momento che in molti resoconti fu evidenziato il fatto che fuochi, fiamme, bagliori o semplicissimo fumo, furono visti fuoriuscire da crepe e fratture prodottesi nel terreno sotto l'azione del terremoto. Inoltre, vi furono innumerevoli testimonianze, anche per quei terremoti in cui non si registrò l’apparizione di fenomeni luminosi, riguardanti la presenza di nauseanti esalazioni sulfuree percepite anche a considerevole distanza dal luogo epicentrale.
Questi sono tutti indizi che portano in un’unica direzione e cioè alla presenza di gas, intrappolati nella crosta terrestre, che attraverso crepe e fratture giungono in superficie, stimolando eventualmente la comparsa di fenomeni luminosi. La produzione di luce avviene mediante due processi fisico-chimici ben distinti, coinvolgenti i gas che, giungendo a contatto con quelli atmosferici, danno il via a fenomeni quali la chemiluminescenza e l’autocombustione. Vediamo di analizzarli uno per volta.
La chemiluminescenza è una reazione chimica fra due o più composti, nella quale si manifestano emissioni luminose; i gas emanati dalle fenditure a contatto con l’ossigeno, l’azoto o l’ozono possono generare una reazione luminescente. Quello che risulta difficile da determinare è la reale natura chimica di questi gas, vista l’impossibilità di riuscirne a prelevare dei campioni da analizzare in laboratorio. L'idea che dietro alcuni casi di EQL risieda un processo coinvolgente la chemiluminescenza venne avanzata da due ricercatori ungheresi, Hedervari e Noszticzius, i quali portarono a sostegno della loro ipotesi un altro interessante fenomeno, non ancora totalmente compreso, che sono i fenomeni transienti lunari (TLP - transient lunar phenomena).
I TLP sono bagliori, nebbie, foschie, mutamenti dell’albedo lunare e cambiamenti di colore che compaiono per un breve periodo di tempo sulla superficie del nostro satellite. Questi fenomeni transitori sono stati osservati da quando l’uomo, attraverso l’invenzione del cannocchiale, ha potuto scrutare con una certa precisione la superficie della Luna.
Con più di 1400 TLP osservati, anche eliminando un certo numero di casi come errori o distorsioni introdotte dallo strumento, ne restano una quantità tale da decretare, senza ombra di dubbio, la realtà del fenomeno. La distribuzione spaziale delle TLP non è casuale, bensì concentrata attorno a specifiche aree, con circa 300 casi presso il cratere Aristarchus, 75 a Plato e 25 ad Alphonsus.
Non è riscontrata, al momento attuale, nessuna correlazione con fenomeni solari (vento solare e macchie), ma si è notato un picco di apparizioni quando la Luna si trova al perigeo (punto dell'orbita lunare più vicina alla Terra), dove l'intensità delle forze mareali è massima.
Le luminescenze possono raggiungere dimensioni, lungo la superficie del satellite, dai 3 ai 5 chilometri e se vengono riferite colorazioni queste sono nella maggioranza dei casi il rosso e il blu. Dopo le varie missioni Apollo, quando fu installata una rete di telerilevamento sismico, si osservò che la Luna presentava una certa attività sismica e che la maggioranza di questi lunamoti (terremoti lunari) avvenne a meno di 5° gradi dai luoghi dove si registrarono il maggior numero di TLP.
Questi dati suggerirono e rafforzarono l’ipotesi che eventuali gas presenti nel sottosuolo lunare, attraverso le microfratture provocate dalle forze sismiche e mareali, possano fuoriuscire consentendo la comparsa di nebbie momentanee e luminescenze transitorie.
L’insorgere della luminescenza in questi gas sarebbe dovuto ad un processo chemiluminescente stimolato dall’azione dei raggi cosmici; oppure, altra ipotesi avanzata a chiarimento di questo fenomeno, ad un eccitamento dei gas dovuti alla presenza di una forte carica elettrostatica. L’elettrizzazione avverrebbe mediante frizione di quei granuli di polvere raccolti dai gas e trascinati a loro volta nella risalita verso la superficie lunare [22, 23, 24, 44].

Ritornando alle EQL terrestri, il secondo meccanismo coinvolgente la presenza di gas è il fenomeno dell’autocombustione. Nella loro ipotesi sull'esistenza di depositi di gas naturale d’origine non biologica all’interno della Terra, Gold e Soter videro in alcuni casi di luci sismiche la conferma delle loro supposizioni. Il metano, contenuto in queste riserve naturali, raggiungendo la superficie tramite la fitta rete di crepe e fratture presenti nel mantello terrestre e bruciando a contatto con l'aria, si renderebbe responsabile di quelle manifestazioni luminose osservate durante i terremoti. Il fenomeno di accensione spontanea sarebbe determinato da scintille e scariche elettriche prodotte dal gas medesimo, che risalendo dalle viscere della Terra si elettrizzerebbe mediante frizione (come succede per alcuni venti particolarmente caldi e secchi, che spirando attraverso valli e colline si caricano elettrostaticamente mediante frizione con la superficie terrestre: vedi Scirocco e Föhn). Un supporto alla validità di questo processo proviene dalle testimonianze; durante i terremoti si percepiscono spesso odori di sostanze bituminose, e nel caso di fiamme viste fuoriuscire da crepe e fratture, queste lasciano vistose bruciature sul terreno e sulla vegetazione circostante [21].
Per una migliore comprensione di questi fenomeni luminosi rivolgiamo la nostra attenzione alle osservazioni condotte nei confronti di luci simili non collegate alla presenza di terremoti. Diverse persone, fra le quali viaggiatori e pellegrini, specialmente nelle epoche passate quando i mezzi di trasporto erano tali da imporre lunghi tempi di spostamenti e non esistevano problemi di inquinamento luminoso, notarono strane luminescenze, che a seconda del contesto storico culturale assunsero vari nomi: Ignis Fatuus, Will-ò-the Wisp, Jack-ò-Lantern, Corpse Candle, Irrlichtern, Feux-Follets, Elf-Fire, Chinese Lantern... nomi diversi per un medesimo fenomeno luminoso. Queste luci furono osservate a livello del suolo o a pochi metri sopra di esso, con maggior frequenza su terreni paludosi. La comparsa di queste luminescenze notturne (vista la debole luce emessa era più facile notarle nell'oscurità), fu associata al gas di palude emesso da questi terreni; supportato dal fatto che, nelle ore diurne, fu possibile osservare la comparsa di bolle che dal fondale melmoso risalivano in superficie. Il gas a base di metano (due terzi metano e il restante biossido di carbonio) e prodotto dalla putrefazione di sostanze vegetali e animali in ambienti anaerobici, fece pensare a processi di combustione spontanea, ma l'analisi delle varie testimonianze raccolte gettò seri dubbi sul fatto che alla base di questo fenomeno potesse risiedere un unico processo.
Vennero così attuati diversi tentativi di cattura, provocando però la scomparsa o l'allontanamento delle luci dovuto con molta probabilità allo spostamento dell'aria provocato dal testimone. In alcuni casi gli osservatori, rimanendo immobili, notarono il ritorno delle luminescenze riuscendo perfino ad interagire con loro. Durante questi fatti occorsero comportamenti discordanti tali da suggerire la presenza di più di un processo formativo. Alcuni testimoni riuscirono a toccare con mano le luci, senza percepire nessun calore o ad introdurvi oggetti di legno senza che questi si riscaldassero o prendessero fuoco. In altri casi, invece, l'introduzione di corpi estranei in queste luminescenze determinò il riscaldamento dell'oggetto o una sua eventuale combustione. La lettura di queste testimonianze spinse il geologo A. Mills (1980) ad interessarsi al fenomeno e a tentare di riprodurlo in laboratorio per comprenderne il reale meccanismo, in quanto fino a quel momento le teorie proposte erano puramente speculative e quasi mai verificate materialmente. Fra le possibili spiegazioni, scartò immediatamente i fulmini globulari, i fuochi di Sant'Elmo e la presenza di insetti luminosi; tutte eventualità  che non si adattavano, già ad una prima analisi, alle caratteristiche del fenomeno preso in esame; ma concentrò la sua attenzione su processi quali la chemiluminescenza e la combustione spontanea. Il metano, bruciando, emette luce e calore in maniera simile a quanto riferito da una certa parte di testimonianze; l'unico problema è l'innescarsi di combustioni spontanee ripetute, cosa non facile da spiegarsi in natura. Anche la presenza di fosfina nel metano (PH3, derivato del fosforo e prodotta dalla putrefazione di sostanze organiche in ambiente anaerobico), difficilmente darebbe il via a processi di autocombustione. Resta comunque il fatto che alcune testimonianze riferiscono di processi del tutto simili, se non uguali, a quelli della combustione. La ricerca di Mills non portò a conclusioni sicure, anche se indicò come maggiormente probabili processi quali la chemiluminescenza e la combustione spontanea. Neanche l'esperimento da lui condotto diede buoni risultati. Egli mise in una botte sigillata erba e acqua di palude a macerare; dopo alcuni giorni vide emergere dal fondo bolle di gas che, se acceso, bruciava con una pallida luce bluastra. Dopo 14 giorni aggiunse sostanze organiche, quali farina, uova e resti di pesci, per generare, attraverso la loro putrefazione, fosfina. La produzione di gas aumentò notevolmente, ma non si verificarono mai fenomeni chemiluminescenti o di autocombustione quando questi gas giunsero a contatto con l'aria [45].

 

3) I segni precursori del terremoto 

indice

5) Luci sismiche in mare 

 

 

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