EARTH LIGHTS,
LUCI TELLURICHE (*)
di
Giuseppe Stilo giuseppe.stilo@usa.net
Commissione CISU, Fenomeni Luminosi in
Atmosfera
(Firenze, marzo 2001)
Esattamente come per altre tipologie di fenomeni aerei
insoliti, nel caso delle cosiddette Earth Lights il
problema della definizione dell'oggetto di studio e della
sua differenziazione da altri gruppi di Fenomeni Luminosi
in Atmosfera (FLA) che presentano caratteristiche in
apparenza anomale è uno dei problemi più
annosi e, purtroppo, a tutt'oggi non risolto.
Da almeno tre secoli, in parti del mondo lontane l'una
dall'altra ed in contesti culturali assai diversi, spesso
secondo un ritmo "ad ondata", sono riferiti avvistamenti
di fenomeni luminosi, spesso di forma sferica ma anche
d'aspetto più insolito, che si muovono a poca
distanza dal terreno, in particolare sulle creste di
colline e sulle pendici di monti, lungo fiumi e torrenti,
intorno a edifici di culto o a cimiteri. In buona parte
dei casi, queste osservazioni sembrano ripetersi per
periodi lunghissimi in specifiche località, magari
in aree ristrettissime o intorno a costruzioni ben
precise, tanto da esser divenute parte di una vasta rete
di credenze folkloriche imperniate sui fantasmi o su
spiriti malvagi. Il loro forte legame con il territorio e
le convinzioni popolari ad esse strettamente legate fanno
sì che spesso ogni singola "luce" sia denominata
con un appellativo specifico per ogni zona
differente.
Va sottolineato che in genere (ma non sempre), questa
fenomenologia è fatta di osservazioni non di corpi
strutturati, ma di "luci" di aspetto gassoso, o simili a
"luci di lanterne", di "fari elettrici", di "lampi al
magnesio", di "fiammelle", di "strani bagliori" ecc.
Spesso la letteratura dell'insolito le ha raccolte sotto
il nome suggestivo di ghost o spook lights ("luci
fantasma"). Il sistema di credenze che le circonda
affonda le sue radici nella storia della scienza al punto
da far sì che anche i "fuochi fatui" &endash; la
cui spiegazione scientifica rimane tuttora controversa
&endash; siano stati nel corso dei secoli assimilati a
fatti più complessi e sorprendenti come quelli
descritti, tanto da indurre la Commissione FLA del Centro
Italiano Studi Ufologici ad occuparsi anche della
letteratura che li concerne.
Per raccogliere questi eventi, nel nostro ambito si
è scelto di adottare la sigla "EL", dalle parole
inglesi Earth Lights, suggerite nel 1982 da uno studioso
inglese. Non solo l'uso di queste parole si è
affermato tra i ricercatori, ma esse risultano utili per
sottolineare il carattere terrain related (legato al
terreno, al territorio) che le EL paiono
possedere.
In italiano l'espressione Earth Lights è stata
resa con "luci telluriche", con l'avvertenza che
l'aggettivo impiegato deve esser letto nella sua
accezione originale, cioè nel senso latino di
tellus = "terra", e non come "sismiche", cioè nel
significato di "telluriche" che è quello
prevalente nel lessico corrente.
Sebbene la fenomenologia EL sia documentata con chiarezza
almeno da duecento anni, spesso sotto le etichette spook
lights (luci fantasma) o will-o'-the-wisp (una specie di
fuochi fatui), il suo studio ha assunto caratteri marcati
solo alla fine degli anni '70 del XX secolo.
Sino alla seconda metà del secolo precedente, in
realtà, non è facile distinguere tra quei
fenomeni &endash; comunque sia di evidente origine
biochimica &endash; come i fuochi fatui, ed altre
manifestazioni luminose più enigmatiche.
Già nel 1956 "The Encyclopedia Americana" scrive
che i fuochi fatui erano "indubbiamente più comuni
un secolo fa, e la loro sparizione in tante
località può essere legata in maniera
diretta al prosciugamento di acquitrini e paludi". Si
spiegava che il fenomeno era più frequente nel
nord della Germania, in Italia, nel sud e nel sud-ovest
dell'Inghilterra e nella Scozia occidentale, ma che era
stato osservato in molti altri paesi.
La descrizione che se ne forniva era sufficientemente
ambigua da giustificare, si ripete, l'inserimento della
letteratura sui fuochi fatui in una bibliografia generale
sulle "luci telluriche". Il fatto è che, almeno
sino ad un certo punto, questa fenomenologia
"tradizionale" risulta strettamente connessa all'altra.
Così scriveva "The Encyclopedia Americana":
Nell'aspetto in
genere somiglia ad una fiamma; vista da vicino il colore
pare bluastro, rossastro, verdastro o giallastro,
sfumante nel purpureo ma mai di un bianco puro. Talvolta
la fiamma assume una posizione fissa, brillando con forza
vicino al terreno o a pochi piedi sopra di esso; altre
volte, può mostrarsi in rapido movimento, talvolta
salire in alto, a mezz'aria, e ancora separarsi in fiamme
più piccole che sono state viste avvicinarsi,
allontanarsi, ricombinarsi, ecc.
E' a queste enigmatiche
definizioni da dizionario che, in sostanza, la ricerca
sulle "luci telluriche" si richiama alla lontana. Oggi le
prospettive sono certo assai differenti: ha scritto in
merito nel 1997 l'inglese Paul Devereux, uno dei leader
della ricerca sulle EL, nel paragonarla alla gran parte
della pubblicistica corrente sui cosiddetti UFO:
Ha fondamenti
migliori di altri settori dell'ufologia, può far
appello a risorse migliori e, soprattutto, è il
solo aspetto dell'ufologia a conclusioni dei primi
cinquant'anni di questa disciplina che sta cominciando a
muoversi dal livello del semplice aneddoto.
Gli aneddoti su queste ambigue luci sono innumerevoli sin
dal XVII secolo. Dei "fuochi fatui, o lambenti", connessi
alla presenza di cadaveri in decomposizione o addirittura
legati alle condizioni agoniche dei malati ed ai cimiteri
parlavano già nella seconda metà del XVII
secolo gli accademici Domenico Bottone e Padre Scotto,
riferendosi ad alcune località siciliane. Una
testimonianza di un viaggiatore che si recava da
Canterbury a Dover e che fu terrorizzato dal fatto che un
gruppo di "Jack-w'-a-Lanhtorn" lo circondava risale
all'Inghilterra del 1598. Intorno al 1685 di "fiamme" che
secondo i nativi nordamericani annunciavano a poca
distanza da tende e chiese la morte imminente di qualcuno
scrisse l'inglese Nathaniel Crouch, che riferì
pure di averle viste di persona. Ed in ciò era
stato preceduto di quasi trent'anni dal vicario di
Geneu'r Glyn, nel Cardiganshire, nel Galles, che
registrò con cura le osservazioni ricorrenti di
luci sia da parte sua sia di altri.
Il nomignolo inglese "Will-o'-the-wisp", che designava
più di frequente il fenomeno e che si sovrapponeva
fortemente al concetto di fuoco fatuo, secondo il celebre
"Unabridged Oxford English Dictionary" è
documentato almeno dal 1673. La studiosa canadese di
folklore Diane Tye ha descritto la lunghissima storia di
questo tipo di fenomenologia per la provincia del
Newfoundland, dove essa sarebbe stata assai comune. Ma
pure la sua persistenza sino a tempi recenti. Un
resoconto giunto alla Polizia a Cavallo parlava di simili
attività sino almeno agli anni '70 del XX secolo.
Anche per la Tye è forte il legame con miti
eziologici di sventura e di morte.
Le apparizioni di luci e fiamme su aree paludose -
cioè dei fuochi fatui - furono associate fin dal
1704, negli "Scritti di Ottica" ad opera di Newton, con
la presenza di metano e di altri gas dovuti alla
decomposizione di organismi vegetali e animali. Bolle di
gas, a contatto con l'aria, si sarebbero potute accendere
e, trasportate dalla brezza, apparire come palle di fuoco
in movimento. Nel 1980 Alan Mills, del dipartimento di
geologia dell'Università di Leicester tentò
&endash; pare per la prima volta &endash; di verificare
in via sperimentale quanto da così tanto tempo
sostenuto sul piano teorico per le cause del fenomeno
fuochi fatui. Ebbene, la conclusione di un suo saggio
pubblicato su "Chemistry in Britain" fu che fino a quel
punto nessuno era stato in grado di capire come bolle di
gas sorgenti dalle paludi potessero spontaneamente
accendersi.
Quando, nel 1855, un corrispondente della rivista inglese
"Notes and Queries" domandò se i fuochi fatui non
fossero nient'altro che una suggestione letteraria, per
risposta ricevette numerose testimonianze di prima mano.
Due riviste britanniche, esaminate per il periodo
compreso addirittura fra il 1805 e il 1942 mostrarono
almeno venti resoconti dettagliati, ma il più
recente fra essi risaliva al 1911.
Nel 1841 ebbe grande risonanza anche all'estero lo studio
di uno scienziato bolognese, Quirico Barilli Filopanti,
che documentò come intorno alla città
emiliana fosse possibile raccogliere molte testimonianze
di "fiamme" e "sfere" che uscivano dal suolo. Del resto,
a Bologna si erano già avuti, nei decenni
precedenti, scienziati che si erano occupati dei fuochi
fatui, come Francesco Orioli. E d'altro canto,
addirittura già nel 1728 Giacomo Beccari, un terzo
erudito bolognese, aveva fatto conoscere pure oltre
frontiera le sue ricerche in merito, ed è a lui
che si deve una delle prime affermazioni sulla ricorrenza
dei fenomeni in città (dov'erano denominati
"Cularsi"). Con le sue ricerche Beccari suscitò
gli scritti dello scienziato inglese Thomas Dereham.
Beccari scriveva che quanto da lui studiato lo lasciava
"perplesso". Parlava anche di varie luci, e sosteneva
trattarsi di qualcosa di "diverso dai fuochi fatui".
Fra il 1835 ed il 1873 una delle più note riviste
scientifiche del tempo, gli "Annalen der Physik und
Chemie", che uscivano a Lipsia, pubblicò un gran
numero di resoconti di osservazioni di fuochi fatui e di
fuochi di Sant'Elmo, in genere provenienti dall'Europa
centrale e dovuti talora a testimonianze dirette di
scienziati. E' un lascito prezioso su quanto l'argomento
fosse dibattuto alla metà del XIX secolo tra il
pubblico colto. Nel 1876, in un libro italiano, i fuochi
fatui erano ancora definiti "frequentissimi" in Abissinia
e in Palestina.
Lentamente, però, proprio in quegli anni avveniva
la separazione fra la categoria "fuochi fatui" e quella
delle "luci fantasma". Sulla rivista scientifico -
letteraria inglese "Notes and Queries", nell'aprile 1875
comparve una delle prime descrizioni "moderne" su
apparizioni ripetute di gruppi di luci blu nel
Carnarvonshire, nel Galles. Nel 1880, in British Goblins,
lo scrittore Wirt Sikes dedicò un intero capitolo
agli incontri, sempre nel Galles, con luci vaganti (le
"corpse candles") e alle loro tradizioni (invariabilmente
dal contenuto infausto). C'erano diverse, sconcertanti
testimonianze, ma ancora si rimaneva in larga misura
nell'interesse per il folklore e per il "magico".
Solo nel 1897, ad opera del folklorista scozzese R. C.
Mac Iagan si ebbe la prima rassegna sistematica delle
tradizioni (e delle testimonianze) britanniche sulle
ghost lights (era anzi una delle prime volte che il nome
era utilizzato in maniera costante). Anche stavolta, ad
ogni modo, esse erano spesso legate ai morti. Questa
credenza sopravviverà ancora nei primi decenni del
XX secolo, come testimonia ad esempio un'ondata di
segnalazioni di EL a Stockton, in Pennsylvania, nel
1909.
In alternativa, le "luci" erano in quel periodo associate
alle fate oppure ad apparizioni religiose, come avvenne
per la celebre serie di osservazioni del 1904-5 a Egryn,
nel Merionetshire (Galles), serie che poi, riscoperta
dagli ufologi, diverrà uno dei classici nella
casistica di questa fenomenologia.
La coscienza "moderna" &endash; come problema scientifico
- del fenomeno EL ai primi del XX secolo si diffuse
comunque di nuovo in Gran Bretagna. Nel 1907
l'esploratore Sir George Maxwell pubblicò un libro
sulle sue esperienze in Malesia, nel quale non solo
descriveva la sua osservazione di due piccole "sfere di
luce" che si muovevano a velocità variabilissime
in una foresta e che gli abitanti del posto chiamavano
penanggal, il fantasma di donne morte di parto, ma citava
almeno due paesini della contea scozzese dell'Argyllshire
in cui si vedevano luci misteriose muoversi su strade e
colline. Inoltre, Maxwell scriveva di aver ricevuto
lettere di residenti in Siberia, nella Russia europea, in
Germania, in Finlandia, Norvegia, Scozia e America del
Sud contenenti "resoconti delle loro esperienze con
queste palle volanti luminose". Sempre nel 1907-8, per
spiegare le ricorrenti apparizioni di sferette luminose a
bassissima quota in alcune contee inglesi, si
sviluppò un'accesa controversia ornitologica circa
la possibilità che alcune specie di rapaci
notturni fossero in grado di produrre una
bioluminosità in grado di rendere conto dei
fatti.
Nel 1912 sul londinese "Daily Mail" apparvero notizie
sulle apparizioni (in corso da almeno sei o sette anni)
di una luce gialla simile al faro di una macchina a Lough
Erne, in Irlanda. Nel 1913 un'altra ondata simile
colpì il paesino di Linley, nello Shorpshire. Nel
1923-24 una luce simile determinò una delle
più celebri ondate del genere nei villaggi di
Burton Dassett e Fenny Compton, nel South
Warwickshire.
La fortissima presenza di questo tipo di fenomenologia
&endash; si noti che anche in questo caso si fa
riferimento a testimonianze di prima mano, non al corpus
folklorico &endash; è testimoniata ancora nel 1956
da un capitolo del suo The Ghost Book che lo scozzese
Alasdir Alpin MacGregor dedicò alle "luci
fantasma". Si tratta di venti pagine contenenti alcune
decine di resoconti, nella gran parte relative a casi
scozzesi e gallesi, su osservazioni anche a distanze
ridottissime di "sfere" e di "fiamme" appena al di sopra
del suolo, ricorrenti in certe località e che
spesso l'autore legava ad eventi luttuosi che poi si
sarebbero verificati nei luoghi "infestati" dalle
luci.
La diffusione del fenomeno EL è comunque
testimoniata su scala mondiale. Dalla fine del XIX secolo
(ma la cultura aborigena la descrive anche per il tempo
indefinito della tradizione) nella zona di Boulia, un
paese isolato del Queensland, in Australia, è
segnalata la cosiddetta "Min Min Light". Altre "luci
fantasma" sono descritte lungo tutto il XX secolo da
varie fonti in specie nelle regioni interne del
continente, ma anche a Brisbane, grande città
della costa. Fred Silcock, un appassionato di queste
vicende, nel 1993 ha pubblicato un libro in cui
sintetizza circa cinquecento testimonianze di EL
provenienti da varie parti d'Australia.
Una luce che si alzava da un albero sino a dieci &endash;
quindici metri da terra è stata segnalata a lungo
a Padubidri, vicino Mangalore, nello stato indiano del
South Kanara. Presso Darjeeling le luci sono chiamate
"chota-admis" e sono considerate lanterne portate da un
piccolo popolo sotterraneo nei loro voli o viaggi
notturni.
Nei pressi di Nong Khai e in altri luoghi posti sulle
rive del Mekong, in Tailandia, sono famosi i cosiddetti
"razzi dei Naga", "fiamme" che comparirebbero, di solito
in ottobre, sott'acqua per poi salire alla superficie e
magari schizzare a gran velocità verso il cielo.
Su di essi di recente si è parlato di trucchi a
fini di sfruttamento turistico.
Un'americana residente in Brasile, Cynthia Newby Luce ha
raccolto nel corso degli anni '80-'90 molte osservazioni
di sfere luminose giallo - arancioni che si muovono
vicino al suolo e che in alcune aree dello stato di Rio
de Janeiro sono note come "Mae de Ouro" (Madre
Dorata).
In Germania una EL è osservata almeno dal 1977
nella foresta di Brieselanger, vicino Berlino, ma essa
è stata attribuita a fari di veicoli in transito
su un'autostrada poco distante.
Nel Canada i casi sarebbero numerosissimi: nella foresta
vicino Woodridge, nel Manitoba, sulle spiagge del lago
Simcoe e sull'isola Scugog, nell'Ontario, nel distretto
di Buffalo Basin, nel Saskatchewan. Anche a Tabor, nei
pressi di Esterhazy, nel Saskatchewan canadese, una luce
rossa o "palla di fuoco" fu segnalata in ondate
successive nel cimitero, sulle colline e nei paesi vicini
almeno nel 1905, nel 1923 e soprattutto alla fine del
1938, quando fra novembre e dicembre sarebbe stata scorta
fino a quattro volte per notte anche a distanze
ridottissime. In questa provincia canadese le
località in cui sarebbero state osservate EL sono
particolarmente numerose, e vi sono testimonianze
risalenti al 1875.
E ancora: in Cina, sulla montagna sacra di Wu T'ai, in
Iraq, ad ovest della cittadina di Ramadi, in Nuova Guinea
nel villaggio di Kabakada
Negli Stati Uniti i casi di questo tipo sono
diffusissimi. Uno dei più celebri al mondo
è senz'altro quello della "luce di Marfa", una
sfera giallastra visibile in una zona del Texas
sud-occidentale posta tra la cittadina omonima ed i monti
Chinati. Il primo documento scritto che la riguarda
risale al 1883 e da allora le osservazioni si sono
susseguite a migliaia. Il folklore su questo caso
specifico è assai ramificato. Indagini critiche
condotte sul campo hanno spinto tuttavia alla conclusione
che gran parte di queste esperienze potrebbero essere
dovute a complesse rifrazioni atmosferiche di fonti
luminose anche assai distanti. Lo stesso è stato
affermato per la "luce fantasma di Bragg Road", a
Saratoga, sempre nel Texas. Ma vi sono località
che sarebbero sede di EL ad ovest di Vernon, nella contea
di Lamar (Alabama), sui monti Oriflamme, vicino Julian,
nella contea californiana di San Diego, presso il
cimitero di Silver Cliff (Colorado), a Oviedo (Florida),
e così via per l'Iowa, la Louisiana, il Maryland,
il Missouri (con le luci dei monti Ozarks, dette anche di
Hornet, viste almeno dal 1903), il Nevada, il Nuovo
Messico, la Carolina del Nord (con le famose luci delle
Brown Mountains, osservate e studiate almeno dal 1913, o
quella di Maco, vista nel 1894 dallo stesso presidente
degli Stati Uniti del tempo, Grover Cleveland), la
Carolina del Sud, il Tennessee, l'Ohio, l'Oklahoma, il
Kentucky (dove c'è la luce della Sand Mountain,
nel paese di Mount Sterling), la Virginia, ecc. In
Georgia c'è la "luce fantasma di Surrency", in una
località nella quale sono stati individuati
particolari depositi minerari e le onde radio subiscono
riflessioni anomale.
In Alaska fenomeni del genere danno luogo alla luce
fantasma dei monti che circondano il lago Iliamna, mentre
altre luci sono ben note a Parker Ranch, nella parte nord
dell'isola principale delle Hawaii, dove si muovono ad un
metro o ad un metro e mezzo dal suolo. A Cuba ci sono
ampi resoconti soprattutto sulla "sfera candela", una
palla luminosa vista migliaia di volte in alcune province
rurali. Un'altra luce misteriosa è nota nella zona
di Quilali (Nicaragua) almeno dal 1945. Nell'est della
Colombia, nella zona di Ocaña, si segnalano la
"Luz Corredora" e "La Candileja", detta anche "Luz
Viajera". Durante la Seconda Guerra Mondiale si ebbero
avvistamenti a Chance Island, al largo della Tailandia.
La "Luz del Dinero" è celebre sulle Ande
peruviane, ed altri fenomeni luminosi sono stati citati
relativamente alle Alpi svizzere. Altre luci sono note
nella zona di Kano (Nigeria) e di Khartoum (Sudan) e,
almeno dal 1893, in Giappone. Lì ci sono anche i
tama, sfere luminose vaganti, attribuite agli spiriti dei
morti.
Nello stato venezuelano di Zulia c'è il celebre
"Relampago del Catatumbo", per il quale è stata
avanzata una possibile spiegazione in termini di
interazione fra i copiosi idrocarburi presenti nel
sottosuolo della zona e l'elettricità
atmosferica.
Nel nord dell'Olanda, nel 1866, un'epidemia di peste
bovina fu collegata ad un'ondata di apparizioni di "luci"
inspiegabili a bassa quota. Fenomeni luminosi vaganti per
le campagne hanno molti nomignoli sia nel folklore belga
sia in quello olandese.
Nel nostro paese, testimonianze e credenze folkloriche
sulle luci telluriche sono rimaste vive almeno sino alla
Seconda Guerra Mondiale. Un accurato lavoro di
ricostruzione storiografica sull'ondata di queste
segnalazioni che interessò il nord verso la fine
del XIX secolo, e che ebbe il suo caso più noto
negli avvistamenti &endash; spesso dal contenuto "ad alta
stranezza" - che almeno dal 1879 al 1920 interessarono la
zona di Berbenno in Valtellina è presentata nella
Seconda Parte della presente monografia.
Due altri casi di particolare interesse sono senz'altro
rappresentati dai ripetuti avvistamenti di un globo
luminoso rosso &endash; violaceo con sfumature azzurrine
che intorno al 1927 sarebbe stato visto molte volte
vicinissimo al terreno nella zona di Cànolo di
Correggio (Reggio Emilia) e che gli abitanti chiamavano
"La Patria", oppure quello relativo alla sfera di luce
che avrebbe compiuto evoluzioni incredibili sulle alture
intorno a Cravagliana, in Valsesia (Vercelli) almeno dal
1947 al 1950, e contro la quale alcuni residenti
avrebbero sparato con i fucili. Le testimonianze ed il
folklore sulle luci sono diffuse soprattutto al nord:
fiamme fiammelle lumi e lumicini sono noti nelle province
di La Spezia, Brescia, Vicenza, Aosta, Latina e
così via.
Nell'Italia contemporanea, sebbene negli ultimi anni sia
stata avviata una revisione dei dati disponibili su
alcune località, in specie delle regioni centrali,
il quadro appare fortemente influenzato dalla
pubblicistica relativa alle credenze sugli UFO, e dunque
tuttora di difficile valutazione. Ciò vale anche
per le cosiddette esperienze di sky watching condotte in
certe aree da parte di appassionati di ufologia, che
&endash; pur nella generale prudenza - sono in ogni caso
considerate con apertura dalla Commissione per i Fenomeni
Luminosi in Atmosfera del CISU, di cui si dirà
meglio a conclusione di queste note.
Anche la palude di Vipiteno (prosciugata dopo il 1867)
era nota per la presenza del "Froscherle", un ranocchio
con una fiamma al posto della testa, che vagava per la
zona. In Val d'Aosta le luci sono attribuite agli
"strioni".
Sul monte Baldo, nel bresciano, si vedevano i "lusuri", e
sul torrente Lazer, presso Transacqua (Trento) c'era
un'altra "luce burlona".
I "Cules" erano lucine note nelle province di Tronio,
Cuneo e Novara. Una "Luce vagante" era a guardia di un
tesoro al Bosco dell'Oro, a Livinallongo (Belluno). Nel
milanese c'erano i "cagnolitt". A Morra (Perugia) si
raccontava di un'intera famiglia che aveva visto delle
luci che si rincorrevano ad almeno un chilometro di
distanza, e che all'improvviso erano schizzate verso la
finestra di casa loro.
Al cimitero di Trentino di Fanano (Modena) si diceva che
di notte si vedesse una luce che poi fu attribuita ad un
burlone su dei trampoli e con un bastone con un lume
acceso.
In Liguria i contadini raccontavano del "Chiaro dei fichi
mori", globo di luce di colore azzurro-latteo osservabile
vicino a un cimitero. Sul fiume Tidone,
nell'Oltrepò Pavese, c'era il racconto di un fuoco
fatuo grande "come una gerla" che aveva "arso vivo" un
giovanotto spaccone.
In Emilia Romagna (Ferrara, Ravenna, Forlì,
Rimini) ci sono vastissime tradizioni sulle "lumazze"
(testimoniate fino agli anni tra le due guerre mondiali),
le "lumere", la "Piligreina", la "Pulo'una"
Diffusi resoconti folkloristici anche dalla provincia di
Lucca, dove si parla di "lumetti", "luminotti", "folletti
dal lumicino", "Cecco Lanterna", ecc.
Ad ogni modo, va riconosciuto che non è facile
individuare testimonianze di fenomeni del genere EL dopo
l'inizio degli anni '60 del XX secolo.
Comunque, come già detto, la vera ricerca sulle EL
prese avvio solo in tempi relativamente recenti. Nel 1967
lo studioso americano di fenomeni insoliti Vincent H.
Gaddis pubblicò quello che probabilmente fu il
primo libro almeno in buona parte dedicato alle EL. Si
trattava di Mysterious Fires and Lights, pubblicato per
la casa editrice Dell di New York, un'ampia raccolta
accuratamente dotata di riferimenti alle fonti su
fenomeni luminosi che andavano dai foo fighters visti
durante la Seconda Guerra Mondiale e la guerra di Corea
alle bizzarre teorie sugli UFO concepiti come organismi
viventi, fino ai fulmini globulari, alle anomalie della
ricezione radar e a un gran numero di "luci fantasma"
viste in parecchie parti degli Stati Uniti e negli altri
continenti, per concludere con le teorie sui fuochi
fatui, i fuochi di Sant'Elmo, ecc.
La modestia dell'attenzione che nel complesso è
stata attribuita alle EL dagli studiosi di ufologia
è confermata non solo dal fatto che fino allora
nessuno aveva messo mano ad una rassegna paragonabile a
quella di Gaddis, ma soprattutto dalla circostanza che
quel libro è tuttora fonte di spunti informativi e
di controversie sull'origine degli episodi citati.
Si direbbe che nei primi vent'anni della storia
dell'interesse per gli UFO, l'unico approccio davvero
foriero di promesse all'insieme di problematiche mosse
dalle EL sia stato quello relativo ai possibili legami
fra attività tettonica e le osservazioni dei
presunti UFO. Si trattava di accenni che erano già
stati fatti nel "Book of the Damned" da Charles Fort
(cioè nel 1919), e che furono poi riprese nel 1970
da John Keel in "UFOs: Operation Trojan Horse". Un primo
punto fermo era stato comunque messo nel 1968
dall'ufologo francese Fernand Lagarde, che aveva
pubblicato sulla "Flying Saucer Review" un saggio nel
quale concludeva che le osservazioni dell'ondata UFO
avvenuta nel suo paese nel 1954 mostravano una notevole
correlazione con la vicinanza a faglie geologiche.
L'ipotesi di Lagarde era dunque che i fenomeni UFO
occorressero più spesso presso zone del terreno in
cui avevano luogo fenomeni di tipo piezoelettrico,
elettromagnetico ed in cui si registravano a volte
variazioni o discontinuità gravimetriche.
Non c'è da sorprendersi che anche i primi lavori
che nel 1975 uno studioso di fenomeni fortiani inglese,
peraltro interessato all'ufologia sin dal '68, Paul
Devereux, pubblicò in due parti insieme con Andrew
York, intitolato Portrait of a Fault Area si rifacesse ad
un approccio di tipo strettamente geologico. Devereux,
che aveva iniziato le sue ricerche in quest'ambito sin
dal 1972, ha poi scritto di essere stato influenzato
proprio dagli studi di Lagarde, nei suoi primi passi
verso lo studio di queste fenomenologie. Una serie
plurisecolare di fenomeni aerei luminosi insoliti e anche
d'altri episodi fortiani nel Leicestershire sembrava
esser legata anche stavolta alla presenza di aree attive
dal punto di vista tettonico.
Il miglioramento nella raccolta della casistica e delle
fonti bibliografiche sulle EL si manifestò
finalmente a partire dal 1977. Da allora, infatti,
un'importantissima risorsa per qualsiasi indagine seria
sulle anomalie naturali è costituita dal lavoro di
uno studioso del Maryland, William R. Corliss. A partire
da quell'anno Corliss ha cominciato a pubblicare in
volumi &endash; progressivamente aggiornati da un
notiziario che si chiama "Science Frontiers" &endash;
migliaia e migliaia di riferimenti, in genere apparsi
sulla stampa scientifica o perlomeno su pubblicazioni
culturalmente qualificate, a eventi, fenomenologie,
aspetti della natura che in apparenza pongono
difficoltà al corpo delle conoscenze scientifiche
acquisite. Anche quelle che in questa sede chiamiamo EL
non fanno eccezione alle raccolte di Corliss. In specie
due volumi, del 1977 (questo tradotto anche in italiano)
e soprattutto uno del 1982, contengono interi capitoli
dedicati a luminosità e scariche elettriche emesse
da montagne, a strani Fuochi di Sant'Elmo, strisce
luminose in movimento sul terreno, bolle aeree luminose,
luci sismiche e vulcaniche, luminosità di rocce e
minerali, luci fantasma e così via. I lavori
dell'americano fin dalla loro pubblicazione sono divenuti
un punto di riferimento irrinunciabile anche per lo
studio delle EL.
Il primo libro interamente dedicato al fenomeno &endash;
e alle teorie geofisiche su di esso - fu però,
sempre nel 1977, Space-Time Transients and Unusual
Events, opera di Michael Persinger, neurologo canadese
della Laurentian University di Sudbury, nell'Ontario, e
di Gyslaine Lafrenière. Insieme con Devereux,
Persinger è uno dei più noti studiosi delle
"luci". I metodi analitici erano più ricercati di
quelli impiegati da Devereux qualche anno prima.
Persinger aveva esteso la ricerca ad un territorio vasto
come quello degli Stati Uniti, cosa da cui aveva concluso
che i fenomeni UFO (che erano il suo obiettivo primario)
tendevano a raggrupparsi in certe aree, il che a lui
pareva confermare la confusa nozione di "finestre" che
John Keel aveva enunciato nei suoi scritti della fine
degli anni '60. L'ulteriore legame tra osservazioni UFO
ed epicentri tellurici faceva supporre che i fenomeni
luminosi fossero dovuti a qualche forma di interazione
fra le emissioni energetiche solari e processi
endogeologici, cosa che avrebbe costituito un "motore"
per questo tipo di eventi. Dette interazioni sarebbero
state particolarmente intense nelle aree di particolare
tensione tettonica (faglie, vene di metalli, depositi
minerari, vulcani, colline e montagne, ecc.) anche in
periodi in cui esse non erano rilasciate in maniera
violenta come in occasione dei sismi.
Il meccanismo specifico cui Persinger pensava era una
particolare versione dell'effetto piezoelettrico, in
grado di generare una specie di "colonna
elettromagnetica" ampia da alcune decine di centimetri
fino a diverse centinaia di metri. I forti campi
elettrici presenti, scorrendo lungo la "colonna" verso
l'alto o verso il basso a secondo della carica, avrebbero
ionizzato l'aria creando i fenomeni luminosi anche a una
certa altezza dal suolo.
Era così stata enunciata la prima versione della
TST, o "Tectonic Strain Theory" (Teoria della Tensione
Tettonica) per gli UFO.
Da allora in poi, Persinger, a volte in collaborazione
con altri, ha studiato parecchi casi particolari di aree
ritenute ad alta incidenza di EL soprattutto nel
continente nordamericano concentrandosi poi sui possibili
effetti della prossimità fra queste emissioni
energetiche (e i conseguenti fenomeni aerei luminosi)
sulla mente e sull'organismo dell'uomo. Il neurofisiologo
canadese ha così prodotto almeno un centinaio di
saggi (di specifica competenza di chi si occupa della
TST), in gran parte dei casi pubblicati sulla rivista
specialistica "Perceptual and Motor Skills".
Progressivamente, quali meccanismi causali, alla
piezoelettricità sono state affiancate da
Persinger le emissioni di radon e di altri gas dai
componenti di certi terreni e la chemioluminescenza. Un
altro raffinamento metodologico operato da Persinger ha
riguardato la possibile correlazione delle EL non tanto
con il numero di epicentri sismici, ma piuttosto con
l'intensità dell'attività tettonica.
Secondo lo studioso, gli effetti prodotti dal rilascio
energetico accumulatosi potrebbero distribuirsi lungo tre
"fasi": nella prima, si verificherebbero interruzioni
della corrente elettrica, disturbi psichiatrici lievi,
confusione mentale, interferenza ai sistemi di
telecomunicazione, ecc.; nella seconda, apparirebbero
"UFO" ed altri fenomeni luminosi, talora sotto forma di
allucinazioni indotte dalle emissioni EM sui lobi
temporali del cervello umano; nella terza, infine, il
rilascio energetico assumerebbe la forma dei sismi veri e
propri oppure di poltergeist e di altri eventi
insoliti.
Nel 1985, al fine di migliorare la sua teoria, Persinger
pubblicò un saggio nel quale presentava alcuni
indizi secondo i quali le variazioni del campo magnetico
terrestre potevano essere associati alla comparsa di
fenomeni aerei luminosi, ma soltanto in regioni nelle
quali la tensione tettonica era in aumento. Addirittura,
nel 1990 si è spinto fino a sostenere che nei
periodi di intensificazione dell'attività
sismologica globale poteva stabilirsi un legame fra
queste e le ondate di segnalazioni UFO di grande
estensione.
Nei primi anni '80, però, nel gruppo dei
ricercatori che si occupano delle EL fece la sua
apparizione un'altra figura importante. Si trattava di
John Derr, un noto geologo statunitense che si è
occupato molto delle luci sismiche, ossia dei fenomeni
più strettamente connessi al verificarsi dei
terremoti. Insieme a Persinger, a partire dal 1986, Derr
ha studiato a lungo l'ondata di fenomeni luminosi spesso
definite "palle da ping-pong" o colonne abbaglianti che,
dalla fine degli anni '60 ma in specie fra il 1973 ed il
1974 e fino al 1986 interessò la riserva indiana
di Yakima, nello stato di Washington. Lo studioso che
più ha prodotto dati sull'argomento è stato
Greg Long, che sulla questione ha anche scritto un intero
libro. Dapprima si constatò che in genere i
fenomeni si verificavano lungo le creste delle colline e
presso una faglia. Il fatto che, per un caso fortuito,
uno sciame sismico interessasse la zona proprio nel
periodo in cui essa era sotto osservazione da parte degli
studiosi permise di raccogliere notizie su ben ventuno
cicli di osservazioni di luci sismiche. Soprattutto,
però, Derr introdusse tra le variabili prese in
considerazione il ruolo dei liquidi in movimento o
comunque presenti nella crosta terrestre nei pressi delle
aree ad alta incidenza di EL. Per Derr potevano esserci
varie strade attraverso le quali questa variabile
(l'iniezione di liquidi) avrebbe potuto contribuire alle
manifestazioni luminose: esondazioni di fiumi, creazione
di dighe o di invasi artificiali o anche l'inserzione di
acque ad alta pressione o di altri scarichi negli strati
rocciosi del terreno. Per Derr sarebbe stato l'aumento di
peso dell'acqua e la nuova pressione su materiali
già in tensione a contribuire alle manifestazioni
luminose sopra il suolo. Anche la lubrificazione dei
materiali geologici dovuta a questi fluidi faciliterebbe
lo slittamento di uno strato sull'altro nei punti di
faglia, e dunque il meccanismo generatore delle luci
stesse. Un altro caso importante studiato in questo
quadro fu l'ondata di avvistamenti che fra il 1966 ed il
1968 interessò il bacino dell'Uintah, nello Utah,
fra le cittadine di Vernal, Roosevelt e Duchesne. In
seguito Derr e Persinger si occuparono a fenomeni che nel
Colorado attribuirono all'iniezione di acque di scarico
nelle rocce della zona della città di Derby. In
questa occasione ne dedussero addirittura che il presunto
campo di forze generatore dei fenomeni luminosi si era
spostato di 50-100 chilometri al mese a partire da
un'area epicentrale, fino a 300 chilometri di
distanza.
In un saggio del 1989 il geologo ed ufologo canadese
Chris Rutkowski, che si interessa in maniera specifica a
questo genere di fenomenologia, ma che è critico
in specie sulle idee di Persinger, riesaminò lo
"stato dell'arte" della TST persingeriana. In
particolare, le "luci fantasma" gli sembrava si
adattassero a questo quadro. Citava anzi in dettaglio due
interessanti casi di EL canadesi relative all'Alberta e
al Manitoba e riferiva come i tentativi di avvicinarsi a
queste fonti luminose fallissero regolarmente
perché esse si "spegnevano" quando ci si accostava
troppo. Erano tanto ricorrenti alcune caratteristiche
specifiche di questi fenomeni, che Rutkowski giungeva a
definirli LATER ("Lights at the End of the Road", Luci in
fondo alla strada), per un'affermata tendenza a mostrarsi
lungo tratti di arterie rettilinei, magari proprio
all'orizzonte locale.
I problemi inerenti la TST per le EL, tuttavia, ad avviso
di Rutkowski erano parecchi. La natura dell'energia
prodotta dalle rocce sotto tensione non era chiara. Le
emissioni radio registrate subito prima dei terremoti
risultavano piuttosto deboli e incostanti. Insomma,
c'erano degli "anelli mancanti" tra la generazione di
energia sotterranea e la comparsa di palle di luce nel
cielo.
L'idea che i fenomeni UFO potessero in ultima analisi
rivelarsi luci sismiche (EQL) in cui l'energia era
particolarmente confinata in una zona limitata (mentre la
maggior parte delle luci sismiche è in
realtà descritta come bagliori e strisce di luce
poco definite nell'aria) era già stata criticata
dall'ufologo Greg Long, che come detto si è
interessato a lungo dei fenomeni della zona di Yakima:
l'assunzione è infatti che le EQL si generino in
occasione di sismi di magnitudo notevole, mentre le EL
sarebbero legate ad eventi energetici piuttosto deboli o
addirittura debolissimi. La stessa scansione temporale
fra accumulo progressivo di tensione, sua distribuzione
negli strati del sottosuolo e generazione di eventi
rilevabili come luci non appariva chiara. Per Long,
differenze forti tra momento in cui si verifica il sisma
e osservazione delle EL non sarebbero state compatibili
con gli attuali modelli teorici sulla generazione delle
luci sismiche. Inoltre, il "raggio di compressione"
dovuto alle tensioni tettoniche non appariva collegabile
con chiarezza ad osservazioni di presunti fenomeni aerei
insoliti molto lontani dai centri di tensione.
Per ovviare a queste obiezioni, Long nel 1988 aveva anche
proposto la localizzazione di una regione sismicamente
inattiva e, per convalidare la teorie, di osservare
l'assenza attesa di EL (o di altri fenomeni aerei
insoliti a tale categoria in qualche modo riconducibili).
In ultima analisi, parrebbe che, in mancanza di un
meccanismo causale chiaro, la correlazione fra
osservazioni UFO ed energia tettonica rimanga in
larghissima parte unicamente di tipo statistica, e non
direttamente causale.
Fra le altre obiezioni, Chris Rutkowski ricordava come
l'ufologo francese Claude Maugé avesse presentato
considerazioni critiche circa la significatività
delle basi di dati impiegate da Persinger per costruire
la TST, cosa che ribadirà meglio in un saggio di
poco successivo, ossia nel 1990.
L'ufologo scettico inglese Steuart Campbell, invece, ha
sostenuto che la solidità della relazione tra
osservazioni UFO e vicinanza di faglie geologiche in Gran
Bretagna di cui parla Devereux sarebbe del tutto
aleatoria, stante la presenza sul suolo di
quell'arcipelago di un numero elevato di
discontinuità del tipo suddetto.
Rutkowski ha fatto notare ancora che non è chiaro
il mezzo attraverso il quale queste emissioni energetiche
potrebbero superare grandi strati di roccia e
manifestarsi poi in superficie in forme tanto varie.
Forse certi tipi di rocce potrebbero agire come
"transistor naturali", ma le difficoltà
rimangono.
Circa le critiche relative alla significatività
del campione di osservazioni ufologiche utilizzate,
Persinger ha in seguito risposto che a suo avviso
ciò che varia realmente nel campione &endash; e
che quindi determina le concordanze positive con numero
ed intensità dei terremoti &endash; non sono i
casi "spuri", gli IFO, quelli spiegabili con cause
convenzionali, ma il numero dei "veri UFO", sarebbe a
dire, a suo avviso, quelli di origine "geologica".
Vi sono poi parecchi ufologi come l'americano Jerome
Clark, sostenitore da posizioni moderate dell'ipotesi
extraterrestre, secondo il quale le "luci fantasma" non
sarebbero assimilabili alla casistica UFO. E' per questo
che nei volumi della sua enciclopedia del fenomeno non si
occupa dell'argomento. Lo fa invece in un dizionario di
eventi "fortiani" pubblicato nel 1992, dove fornisce
questa definizione:
Le luci fantasma
sono fenomeni luminosi &endash; di solito o punto di luce
oppure sfere &endash; il cui aspetto, comportamento,
localizzazione o il cui regolare manifestarsi le pone,
almeno in apparenza, in una categoria diversa sia dai
fulmini globulari sia dagli oggetti volanti non
identificati. Le luci fantasma sono spesso considerate
sovrannaturali o paranormali e, in molti casi, in special
modo in quelli nei quali appaiono con regolarità
per un certo periodo di tempo in un singolo posto
intorno ad esse sono cresciute delle leggende, che in
genere le associano ad apparizioni dei morti.
Clark si occupa a lungo, nel libro
succitato, delle tradizioni folkloriche legate alle EL, e
poi descrive in specie i casi di Yakima (che lui
però giudica più di interesse strettamente
ufologico) e quello di Hessdalen. La sua critica alla TST
di Persinger e alle earthlights di Devereux è
netta. Nessuna di queste ipotesi geofisiche, scrive, ha
ricevuto un'accettazione degna di questo nome da parte
della comunità scientifica: Devereux sembra
slittare verso un atteggiamento misticheggiante, da
idolatra della natura, mentre Persinger è stato
criticato da più parti su base metodologica. Ad
avviso di Clark, in ultima analisi
Probabilmente le
luci fantasma sono una quantità di cose diverse,
dalle ridicolmente banali, alle esoticamente naturali,
fino alle decisamente
enigmatiche.
A parte Persinger ed il dibattito sulle sue teorie,
però, nel frattempo gli anni '70 avevano visto
anche lo sviluppo di altri approcci più
propriamente sperimentali a fenomeni aerei insoliti
concentrati in aree geografiche ristrette. A partire dal
febbraio del 1973, intorno alla città di Piedmont,
nel Missouri sud-orientale, e specie sulle colline
circostanti cominciarono ad esser riportate sulla stampa
segnalazioni di strane luci di vario colore (anche nei
campi e vicino ad antenne trasmittenti) in coincidenza
con ripetute interferenze alla ricezione delle emissioni
televisive ed a guasti nella rete di distribuzione
dell'energia elettrica. Dietro richiesta di alcuni suoi
studenti, il capo del dipartimento di fisica della
Southeast Missouri State University di Cape Girardeau, il
dr. Harley D. Rutledge, avviò alcune osservazioni
della volta celeste nei posti in cui gli avvistamenti
erano stati segnalati, ossia ad ovest della città.
Insieme con alcuni colleghi e con un carico di
attrezzature Rutledge prese posizione sulle colline.
Scriverà in seguito che in quel momento era
fiducioso che sarebbe stato in grado di fornire
spiegazioni razionali alle osservazioni nel giro di due o
tre fine settimana. Invece, quello doveva essere soltanto
l'inizio di una lunghissima serie di periodi di
sorveglianza sistematica di quelle località, che
lo condussero a registrare con vari strumenti e con le
macchine fotografiche 178 "oggetti anomali" che in 157
occasioni diverse effettuarono improvvisi cambiamenti
direzionali, accelerazioni improvvise dallo stato di
quiete, ecc. Attraverso triangolazioni grazie ad
avvistamenti simultanei da più punti, Rutledge
ricostruì più volte velocità e
movimenti dei fenomeni, e concluse perciò che
dovevano escludersi cause convenzionali quali miraggi e
rifrazioni, fari di veicoli, aerei, meteoriti, o anche
più esotiche quali i fulmini globulari. Ci furono
anche rilevazioni radar e disturbi alla radioricezione
nella gamma VHF.
Una delle cose più imbarazzanti che Rutledge
descrisse fu il fatto che in almeno trentadue episodi
sembrava ci fosse stata una significativa coincidenza fra
le azioni degli osservatori e quelle dei fenomeni. A
volte le luci osservate parevano reagire (modificando il
loro comportamento) a messaggi verbali, a segnali radio o
persino a pensieri degli sperimentatori. Ciò fino
a distanze stimate anche di tre chilometri fra la
postazione di sorveglianza e i fenomeni stessi. E' per
questo che Rutledge si diceva convinto che quanto da lui
visto fosse dovuto fosse dovuto a una forma di
intelligenza, e rispondeva alle obiezioni dell'ufologa
Jenny Randles, che pensava piuttosto a fenomeni naturali
ancora sconosciuti, e allo scettico Steuart Campbell.
Ancora negli anni '70 un altro gruppo di appassionati di
fenomeni anomali del New Jersey denominato "Vestigia"
effettuò diversi studi sul campo in specie nella
località di Washington Township, appunto nel New
Jersey, e lì osservò, fotografò e
misurò con varie strumentazioni un piccolo globo
di luce che all'interno pareva contenere un nucleo simile
ad un proiettile. In occasione delle scomparse improvvise
della EL furono registrati forti aumenti nelle letture di
un contatore Geiger e cambi nella resistività di
alcuni binari su cui a volte il fenomeno si poggiava. A
quanto pare, a volte il gruppo di sperimentatori riusciva
a vedere il fenomeno solo da un capo dei binari, ma non
dall'altra parte, cosa che sembrava suggerire a quelli
del "Vestigia" addirittura un'emissione fotonica
monodirezionale. Altri casi furono studiati "sul campo"
nel Maryland, ad esempio a Mount Hebron.
Mentre l'interesse per gli eventi norvegesi di Hessdalen
stava esplodendo, nel 1982 si verificò una nuova
svolta nella storia dell'interesse per questi fenomeni.
Paul Devereux pubblicò infatti un altro libro
dedicato nella sua interezza ad essi, e cioè Earth
Lights.
Va detto in prima istanza che quel nome poi divenuto
celebre, e che in quel testo fu usato per la prima volta,
nelle intenzioni dell'autore stava a indicare una
divergenza radicale rispetto alle posizioni
filo-extraterrestrialiste della gran parte degli
appassionati. Sul piano causale, grazie alla
collaborazione con il geochimico Paul McCartney, il libro
identificava una serie di ulteriori connessioni tra
faglie, epicentri sismici e fenomeni aerei luminosi in
varie parti della Gran Bretagna, e ipotizzava che gli
incontri ravvicinati del terzo e del quarto tipo fossero
qualcosa di diverso dalle "luci", che erano in questo
modo al centro dell'attenzione dello studioso.
Era l'inizio di una vera e propria piccola rivoluzione in
specie per l'ufologia inglese. Un nucleo ristretto ma
agguerrito di ufologi interessati sotto vari punti
profili &endash; anche critici &endash; alla teoria delle
EL si fece avanti.
Nel settembre 1983 Devereux, McCartney e Don Robins,
specializzato nelle applicazioni della chimica
all'archeologia, suscitarono un vivace dibattito e fecero
conoscere le loro teorie ad un pubblico più vasto
con un intervento sulle pagine della rivista "New
Scientist". Quali meccanismi possibili, complementari fra
loro, erano presentati non solo la più
tradizionale teoria piezoelettrica, ma anche quella della
triboluminescenza (in sigla TLS, ossia le emissioni
luminose prodotte dalle frizioni tra materiali) e della
termolumiscenza (la luce generata dall'innalzamento della
temperatura). Nell'86 Devereux ritenne le proprie
opinioni rafforzate dalla testimonianza di una sfera di
luce vista e fotografata da un fisico sopra le cime degli
alberi di una località californiana posta
esattamente sopra un'importante faglia geologica. La
triboluminescenza, ceh Devereux invocava quale
spiegazione, produce luce quando gli elettroni sono
costretti a "saltare" da livelli superiori a quelli
inferiori da forze di tipo frizionale.
Uno degli sviluppi teorici (e fonte di discussioni di
ogni genere) fu quello che nel 1986 arrivò dalla
pubblicazione dei risultati di alcuni esperimenti di
laboratorio condotti dai ricercatori Brian Brady e Glen
Rowell, del Servizio Minerario degli Stati Uniti, che si
occupavano dell'argomento sin dal 1981. I due
frammentarono sia dei nuclei di granito, ricchi di quarzi
in grado di generare effetti piezoelettrici, sia basalti,
del tutto privi di cristalli piezoelettrici. Una volta
posti in vari gas (aria, argo, elio), nel vuoto e
nell'acqua, le frammentazioni furono esaminate con
spettroscopi collegati ad intensificatori di
luminescenza, con lo scopo di catturare gli spettri di
eventuali "luci" generate.
Ebbene, sia nella frammentazione dei graniti sia in
quelle dei basalti si produssero delle minuscole luci, e
ciò ad apparente smentita della teoria
piezoelettrica per le EL. L'analisi spettrale mostrava
che le luci non presentavano tracce dei componenti delle
rocce, ma solo quelli provenienti dai gas o dai liquidi
che li circondavano. La conclusione tratta era che il
meccanismo responsabile per le emissioni luminose era
un'eccitazione esoelettronica dell'atmosfera
dell'ambiente circostante le rocce, e che non si trattava
di plasmi. Come si potesse produrre tale eccitazione non
era chiaro. Si supponeva che i campi radio prodotti dalle
frammentazioni potessero creare delle specie di
"bottiglie" in cui le manifestazioni luminose erano
"contenute" in forma sferica o di altro genere, ma la
questione è rimasta controversa.
Un'ulteriore scoperta condotta in occasione degli
esperimenti, cioè quella che i nuclei di materiali
fratturati in acqua facessero illuminare il liquido
producendo al contempo idrogeno atomico e molecolare
spinse Brady e Rowell a dedurre che dissociazioni
molecolari del genere avrebbero potuto innescare reazioni
chimiche forse anche di tipo biologico, ciò che
indusse John Derr a speculare sulla possibilità
che tali processi potessero avere avuto un ruolo nella
biogenesi del nostro pianeta.
Rutkowski nel suo saggio del 1989 scrive che ben presto
Devereux pubblicò i risultati di suoi test di
frammentazione su rocce e descrisse la comparsa di
bagliori e di scintille. In effetti, nell'ambito della
teoria della triboluminescenza, Devereux ne parla nel
paragrafo "Lights in the Laboratory" del capitolo 7 del
suo secondo libro, quello del 1989 (vedi pp. 197-201). A
queste repliche sono dedicate ben cinque foto che
accompagnano il volume. Gli esperimenti di conferma da
parte di Devereux, Paul Mc Cartney e John Merron furono
effettuati a Londra fin dal 1983. La loro conclusione era
che si trattasse di una qualche forma di ionizzazione
dell'aria. Con un importante articolo sulla rivista
inglese "New Scientist", Devereux e gli altri
nell'autunno dello stesso anno presero infine le distanze
dalla teoria piezoelettrica che, sulla scia del primo
Persinger, anche loro avevano appoggiato, e inclinarono
con decisione per la triboluminescenza. Nel 1984,
all'Università del Sussex, Devereux ricevette
altre conferme sperimentali da un ricercatore che aveva
rilevato emissioni luminose in rocce non piezoelettriche.
Gli esperimenti di Devereux e compagni avrebbero
dimostrato che non sono necessarie forti pressioni per
generare luci relativamente intense. Inoltre, questi
effetti sono più vistosi in un'atmosfera carica di
ioni negativi, al punto che il solo contatto con una
palla di cristallo può produrre dei lievi
bagliori.
L'ipotesi per spiegare questi effetti parte dalla
constatazione che la maggior parte dei minerali sono vere
e proprie riserve di elettroni allo stato libero. Circa
l'origine di questa ricchezza, Devereux e McCartney
sostengono che se un materiale mineralogicamente
"semplice" come un quarzo o un calcare è esaminato
con la tecnica della spettroscopia a risonanza dello spin
elettronico (ESR), esso presenterà uno spettro
energetico tipico degli elettroni "intrappolati" nel
reticolo. Quando, nel corso del tempo, la radiazione
naturale "espelle" gli elettroni dalle orbite atomiche,
essi riempiranno tutte le "trappole" presenti nel
reticolo del minerale. Questa popolazione elettronica
potrà poi manifestarsi in varie forme &endash; ad
esempio come emissioni luminose &endash; sulla base di
diversi meccanismi.
Però, nel frattempo lo stesso Brady aveva moderato
gli entusiasmi. Ulteriori esperimenti da lui condotti gli
facevano dire che non si può pensare che le "luci"
si producessero a distanze superiori ad alcuni metri dai
punti di frattura.
E poi, il problema maggiore sta probabilmente nel fatto
che quelli di Brady, Rowell, di Persinger e anche di
Devereux sono esperimenti di laboratorio, ciò
condotti su una microscala. Non è per niente
chiaro se analoghi fenomeni possano davvero verificarsi
su una scala macroscopica, cioè in natura.
Nel 1985 due studiosi inglesi di "luci fantasma", David
W. Clarke e Granville Oldroyd, pubblicarono Spooklights
&endash; A British Survey, una piccola monografia con la
quale documentavano in maniera rigorosa quanto il
fenomeno EL preesistesse all'inizio dell'era dei "dischi
volanti", e quanto potesse essere fruttuoso in questo
senso l'indagine archivistica e di biblioteca. Oltre ad
osservazioni di varie luci a partire dalla metà
del XIX secolo specie in Gran Bretagna, fu ricostruita la
vicenda della EL sferica, gialla, di dimensioni simili a
quelle di un faro d'automobile, vista di sovente fra il
1922 ed il 1924 presso i paesini di Burton Dassett e di
Fenny Compton, nella contea del South Warwickshire, posti
direttamente sopra una faglia geologica.
Nel 1987, nel saggio British Spooklights, Clarke e
Oldroyd (e poi di nuovo Clarke nell'88 in un altro
scritto soltanto a sua firma) hanno sostenuto con
nettezza l'idea che le "luci" abbiano da sempre
accompagnato la storia dell'uomo, e che dopo il 1947 esse
siano state annesse al "mito moderno delle visite
extraterrestri". Malgrado la scarsa attenzione da parte
della comunità scientifica, a loro avviso per le
EL esisterebbe una "solida evidenza di un fenomeno
naturale sconosciuto dotato di un potenziale in grado di
rivoluzionare la nostra concezione corrente di spazio e
di tempo". Sempre interpretate "alla luce del contesto
culturale contemporaneo cui si riferivano", esse sono
state dapprima spiegate come gli ormai scomparsi fuochi
fatui, terrore dei viaggiatori del XIX secolo, e oggi, in
omaggio ai tempi, come fulmini globulari o visitatori
spaziali. Dopo un'interessante disamina del folklore
inglese sull'argomento, i due studiosi sostengono poi,
come Paul Devereux, che alcuni luoghi di culto
preistorici in Gran Bretagna potrebbero esser stati
edificati in seguito a manifestazioni di EL. Particolare
attenzione era dedicata a quella che gli autori
definivano la "Pennine connection", ossia la presenza
ricorrente di segnalazioni di fenomeni aerei insoliti
nelle regioni inglesi dei monti Pennini, nel North
Yorkshire e nel North Derbyshire, che ancora una volta
ritenevano presenti in zona da secoli ed oggi distorte
dai media e dalla cultura dominante come "UFO
extraterrestri", ma in realtà per Clarke e Oldroyd
"una forma di energia naturale indigena dei monti
Pennini". Questa complessa serie di eventi darà
poi origine ad un progetto di studio della zona, il
"Project Pennine". Seguendo la denominazione proposta sin
dal 1979 dall'ufologa Jenny Randles, ossia UAP
("Unidentified Atmospheric Phenomena", secondo lei rari
fenomeni naturali), anche Clarke e Oldroyd concludevano
che in genere si tratterebbe di "oggetti luminosi" del
diametro compreso fra dieci centimetri e più di
cinque metri, probabilmente amorfi o di composizione
gassosa, a volte simili a giganteschi occhi umani o a
proiettori di autoveicoli, spesso pulsanti. Altri
sarebbero composti da numerose luci più piccole in
grado di separarsi e di riunirsi. Anche a loro avviso,
come per Hilary Evans, sarebbe difficile sfuggire alla
suggestione che in certi casi possa trattarsi di esseri
viventi, magari dotati di qualche forma di coscienza.
C'è anche un lungo elenco dei nomi con i quali
questi fenomeni luminosi sono chiamati in parecchie
contee della Gran Bretagna. Oltre a far proprie le
argomentazioni del geochimico Alan Mills sulla
persistente mancanza di una spiegazione causale
convincente per i fuochi fatui, Clarke aggiungeva che
esami cromatografici non erano stati fatti in laboratorio
sul gas di palude, e che non si era mai riusciti a
scoprire nemmeno tracce di fosforo, la sostanza ritenuta
alla base dei processi di accensione delle "fiamme".
Ad ogni modo, più di recente (1993), due biologi
tedeschi, Günter Gassmann e Dieter Glindemann, hanno
ipotizzato che la causa dell'accensione naturale del
metano del gas di palude possa essere un altro gas, il
difosfano (P2H4), che hanno trovato nel tratto digerente
di molti animali e che brucia spontaneamente quando trova
aria. Come agenti naturali riducenti capaci di
trasformare i fosfati alimentari in difosfano i due hanno
individuato alcuni microrganismi.
Un altro studioso fortiano, Phil Reeder, nel 1986 ha
però messo in discussione che questi gas possano
render conto delle caratteristiche tradizionalmente
attribuite dalle testimonianze, oggi pressoché
cessate, dei fuochi fatui. Potrebbero muoversi e durare
così a lungo come spesso raccontato? E non
dovrebbero produrre calore? Vi sono alcune rare
testimonianze di persone che avrebbero "toccato" i fuochi
fatui che sembrano negare questa circostanza. Allora
potrebbe esserci un legame causale con i fulmini
globulari? Come altri studiosi di questi argomenti,
Reeder sottolinea come l'assegnazione di un fatto ad una
categoria o all'altra sia dipesa spesso dall'etichetta
assegnata al fenomeno e al quadro culturale in cui esso
si inseriva. Insomma, per Reeder il fenomeno è di
origine naturale, ma la sua chimica rimane in
discussione.
Ad ogni modo David Clarke ha proseguito fino ad oggi il
suo interesse per le "luci fantasma". Nel 1998 ha
raccolto in un saggio molti resoconti diretti e
sopravvivenze folkloriche provenienti dall'Inghilterra
centrale, in specie dal Derbyshire e dallo Yorkshire. E'
particolarmente interessato ai legami con il corpus delle
credenze popolari che circondano queste osservazioni.
Nel corso degli anni '80, inoltre, in Gran Bretagna fu
pubblicata anche da altri autori, sulle riviste fortiane
e di ufologia, un gran numero di articoli tendenti a
dimostrare come le EL fossero state incorporate sia nel
folklore tradizionale di quel paese, sia in culture
non-occidentalizzate.
Lo studioso di ufologia inglese Hilary Evans è
stato uno dei primi a suscitare, nei primi anni '80,
l'interesse per le EL e per altri fenomeni luminosi
atmosferici messi in relazione con le osservazioni
UFO.
Nel luglio 1982 egli pubblicò sulla rivista di
ufologia "The Probe Report" un lungo articolo in cui
proponeva una nuova etichetta per una serie di fenomeni
che riteneva accomunati da diverse caratteristiche: BOL,
ossia "Balls of Light".
Cercava di definire le proprie posizioni in questo
modo:
Ritengo che
disponiamo di un'evidenza sufficiente a postulare
l'esistenza di un'entità naturale, intelligente e
proteiforme (cioè in grado di cambiare forma), che
in genere anche se non sempre vive nell'aria e che
è originaria della nostra atmosfera. Può
esistere sotto più di una forma, ma visto che
più sovente è descritta come una palla di
luce, propongo per ora di denominarla "BOL", con
l'avvertenza che questa potrebbe anche non essere il suo
vero aspetto.
Dopo aver ricordato come il
fenomeno BOL preesistesse l'era ufologica, Evans scriveva
che la scarsa attenzione che le "luci nel cielo"
suscitavano negli ufologi rispetto agli incontri
ravvicinati le avevano fatte trascurare per decenni. In
realtà, per Evans poteva trattarsi della "vera
chiave dell'enigma degli UFO".
Per tutti gli anni '80 Evans animò il Progetto
BOLIDE, dove la parola era in realtà l'acronimo di
"Ball Of Light International Data Exchange", un gruppo
informale di appassionati che raccolse parecchia
bibliografia in precedenza dispersa e spesso
difficilmente reperibile e che diede vita a fruttuose
riflessioni su questi problemi. Successivamente il
coordinamento del gruppo, nell'ambito dell'associazione
britannica BUFORA, fu assunto dall'ufologo Robert Moore.
Con la cessazione dell'interesse di questi per l'intero
problema UFO, però, il lavoro intorno alle EL da
parte di questo sodalizio sembra essere cessato intorno
al 1999.
Ad ogni modo, Evans nei suoi lavori prendeva in
considerazione in realtà una vasta gamma di
fenomeni luminosi, a partire dalle difficoltà
esplicative che mostrano i fuochi fatui e le ipotesi
geochimiche correnti nelle enciclopedie per essi (e che
peraltro sono state più volte anche da fortiani
come Michael Frizzell e Curtis Fuller non ritenute in
grado di rendere conto di certe osservazioni di fenomeni
luminosi descritti da secoli). Evans ricordava a questo
proposito in un suo saggio del 1989 come sovente i
confini fra la categoria dei "fuochi fatui" e quella,
anch'essa tradizionale delle "luci fantasma" non siano
per niente facili da delineare, e come elementi culturali
di varia natura abbiano contribuito a rendere più
complesso ma anche interessante il groviglio.
Quanto alla forma sferica spesso attribuita alle "luci",
Evans riteneva plausibile che in realtà in molti
casi non fossero descritte forme distinte perché
gli UFO non avevano forma.
Ma Evans estendeva il suo concetto di "BOL" ad altre
categorie di fenomeni che a suo avviso presentano
testimonianze di anomalie non spiegabili con le
conoscenze scientifiche acquisite su di esse. Sarebbe il
caso di alcuni bolidi, di certe osservazioni di fulmini
globulari e dei foo fighters della Seconda Guerra
Mondiale, che Evans definisce "BOL osservati ad alta
quota".
Anche per l'inglese la caratteristica sconcertante di
questi che si sarebbe senz'altro tentati di collocare tra
i fenomeni naturali sembra l'apparente comportamento
"intelligente" che talvolta mostrano, ossia ciò
che pare una certa coscienza della presenza e delle
attività umane. Da qui Evans ne inferisce una
certa analogia con eventi in genere ritenuti patrimonio
della ricerca parapsicologica o con fatti allucinatori e
comunque "mentali". Sebbene la realtà fisica di
buona parte dei BOL appaia indiscutibile, scrive Evans,
un fattore da tenere sempre presente è "la
condizione mentale del testimone".
Evans prende addirittura in considerazione le idee,
sempre rimaste ultraminoritarie fra gli appassionati di
ufologia, secondo cui alcuni episodi potrebbero suggerire
che le idee di certi autori sulla possibilità che
nell'atmosfera ci siano dei "BOL di natura organica"
&endash; cioè degli organismi viventi in grado di
emettere energia luminosa &endash; potrebbero non
rivelarsi del tutto balzane.
Negli anni '80 il gruppo inglese di Devereux ha appuntato
la propria attenzione sui fenomeni luminosi che
interessano le vette di monti in varie regioni del mondo
(in particolare alcune del Galles, constatati dallo
stesso Devereux, e il monte Athos, in Grecia),
sottolineandone la natura geofisica di scariche
elettriche fra terra e bassa atmosfera. Si è poi
ulteriormente accentuata l'attenzione per un possibile
legame fra le EL e i siti megalitici preistorici in Gran
Bretagna, al punto che Devereux ha avviato un "Project
Dragon" per analizzare eventuali anomalie di ogni genere
in queste località. In alcune occasioni sarebbero
state registrate emissioni di ultrasuoni e
peculiarità geomagnetiche. E' stata poi
individuata una nuova, presunta relazione tra faglie
geologiche e località nelle quali, nel 1977, nella
zona gallese di Dyfed fu riferita un'ondata di
avvistamenti UFO. Secondo Devereux l'84,4% dei fenomeni
segnalati quell'anno sarebbero avvenuti in un raggio di
550 metri da una faglia superficiale. Circa gli UFO nel
loro complesso, Devereux ha prospettato un approccio che
ha definito della "torta ufologica". Immaginando l'intera
fenomenologia come una torta, ogni singola "fetta"
più o meno grossa (IFO, falsi, fenomeni
psicologici, ecc.) contribuirebbe a formarla, ma la fetta
scientificamente più "appetitosa" sarebbe
costituita dai complessi fenomeni naturali (o
d'interazione fra energie geofisiche e psiche) di cui lui
si occupa. Altri che con lui si erano occupati delle EL,
come John Merron, hanno manifestato propensione per
un'ipotesi dai coloriti più francamente esoterici,
come quella di "Gaia", secondo la quale la Terra sarebbe
un vero e proprio organismo vivente dotato di coscienza
complessa. Paul McCartney, il geologo che tanto
contribuì, nei primi anni '80, alla costruzione
delle teorie di Devereux, nel 1987 ha invece tenuto a
ribadire che malgrado tutto non se la sentiva di
escludere che alcune osservazioni UFO fossero
riconducibili a tecnologie extraterrestri.
Ad ogni modo, nel 1989 Devereux pubblicò un
secondo libro sull'argomento, Earth Lights Revelation,
che ampliava la gamma dei fenomeni allo studio e degli
scopi di esso. La celebre ondata di "luci" viste nel
1904-5 presso il paese gallese di Egryn, che fu
documentata al meglio nel 1980 con un suo studio
dall'ufologo Kevin McClure, era riletta alla luce delle
acquisizioni recenti della geologia sulla regione
interessata. Sembrava che un certo numero di luci fossero
state viste emergere direttamente da una faglia sita in
profondità, e che buona parte di esse fossero
comunque apparse ad una distanza massima di 90 metri
dalla discontinuità. L'ondata, inoltre, era
avvenuta nel mezzo di un periodo sismico piuttosto raro
per il Galles, che si estese dal 1892 al 1906. Era
inoltre rafforzato il legame con la presenza di minerali
e delle relative attività d'estrazione, ed il
panorama delle EL, da britannico che era nel libro
dell'82, era ampliato a molte regioni del mondo. Anche
certi rumori sotterranei inspiegabili erano definiti
"qualcosa di comune" nelle aree in cui le luci sono
più frequenti. Ad ogni modo, anche sulle cause dei
fenomeni stessi, pur rimanendo l'intelaiatura generale
quella delle energie geofisiche, ci si apriva a possibili
interazioni con manifestazioni della fisica atmosferica.
C'era persino una descrizione della "tipica" EL: mezzo
metro di diametro, spesso bianca o arancione, nel caso
delle luci bianche a volte un "nucleo" centrale
rossastro. Viste da vicine, talora le EL sembrerebbero
come "ribollire" di luce, quasi fossero formate da un
groviglio di "vermetti" o di "stringhe" luminose. Vi sono
anche casi in cui le EL emergono dal suolo e raramente si
alzano fino a parecchie centinaia di metri, magari per
ridiscendere al suolo e poi "decollare" ancora.
Più spesso, però, pare che dopo la discesa
"siedano" sul terreno fino alla scomparsa, o che si
estinguano toccandolo. Anche la caratteristica
dell'osservabilità da una sola direzione e non da
quella opposta era rilevata più volte da Devereux.
Ci sarebbero casi in cui intere colline possono
illuminarsi senza che vi sia una contemporanea
osservazione di una vera e propria EL. Quanto ai casi UFO
a più alta stranezza, Devereux supponeva un legame
con le EL nel senso sia che emissioni elettromagnetiche
da parte di esse potrebbero causare bruciature e altre
conseguenze fisiche, sia (in sostanziale accordo con
Persinger) che queste emissioni possano stimolare il
cervello e provocare esperienze percettive
allucinatorie.
Nel 1990, sul "Journal of UFO Studies", Devereux ha
provato a rispondere alle articolate critiche mosse al
suo approccio, differenziandolo in particolare dalla TST
di Persinger, e riaffermando che le "luci fantasma" come
quella di Marfa sarebbero legittimamente da considerarsi
parte della fenomenologia UFO. Non erano risparmiate
critiche nemmeno ad alcuni sostenitori dell'ipotesi
socio-psicologica.
Anche nel suo saggio del 1997 già citato Devereux
faceva notare, tra le altre cose, come nell'Europa
pre-moderna spesso "palle di luce" emergenti dal suolo
erano legate alla presenza di vene di rame o di altri
minerali, e come prospezioni minerarie sulla base della
presenza luminosa almeno in un caso si siano protratte in
Inghilterra sino ai primi anni del XX secolo.
A partire dal 1994, sotto la spinta di Erling Strand, uno
degli animatori del progetto di studio sui fenomeni di
Hessdalen di cui si dirà in dettaglio fra poco,
gli studi sul campo delle EL hanno subito
un'accelerazione.
Uno studioso qualificato che si è unito al gruppo
che si occupa dei fenomeni è il giapponese
Yoshi-Hiko Ohtsuki, fisico del plasma della Waseda
University. Ohtsuki, che propende per una spiegazione di
tipo atmosferica per le luci, è stato diverse
volte nella zona di Marfa, cittadina del Texas dove
è osservata sin dal XIX secolo una delle
più note EL del mondo.
Anche Devereux si è dedicato a studi sul campo.
Sotto l'egida dell'International Consciousness Research
Laboratories (ICRL), un gruppo informale
interdisciplinare di scienziati che si occupa di vari
generi di fenomeni ai margini delle conoscenze acquisite,
egli ha visitato vari siti in cui sarebbero state
segnalate presunte EL. Nel '94, insieme al fisico Hal
Puthoff, membro dell'ICRL, a Marfa ha concluso che buona
parte delle "luci" erano in realtà dovute a fari
di veicoli distanti anche decine di chilometri e talora
soggette a rifrazioni atmosferiche che si verificano
nella zona, ma pure che testimonianze di residenti della
zona e dati raccolti da appassionati locali facevano
propendere anche per l'effettiva presenza di luci
"anomale". Segnalazioni da parte di un'abitante del posto
condussero Devereux e la sua squadra sulle montagne
Chisos, sul Rio Grande, dove videro una presunta EL ad
una distanza stimata di un chilometro e mezzo.
Nell'ottobre del 1995 Devereux, insieme a Strand e ad
altri effettuò una nuova spedizione, stavolta
nella regione di Kimberley, nell'Australia Occidentale,
dove in specie negli anni '70 e '80 sembrava fossero
state viste luci collegate dagli abitanti alle celebri
"Min Min lights". Furono intervistati diversi testimoni
(fra cui alcuni aborigeni), osservate luci insolite in
più occasione e in almeno un caso l'apparizione di
una di esse coincise con un improvviso, fortissimo
cambiamento delle misurazioni del campo magnetico
terrestre misurato da una sonda conficcata nel terreno a
una certa distanza dalla posizione di osservazione.
Nel 1996, invece, Devereux e Strand, insieme al fisico
David Fryberger, del Centro dell'Acceleratore Lineare di
Stanford, in California, approfittarono della
concomitanza di una lunga serie di presunte segnalazioni
UFO e di una fase di attività piuttosto intensa
per compiere delle osservazioni alle falde del vulcano
Popocatepetl, in Messico. I risultati furono meno
rilevanti di quelli australiani, ma fu comunque
effettuata un'osservazione visiva e rilevata una forte
lettura anomala (non concomitante con quella) da parte
del magnetometro.
Se però oggi è sorto un vero interesse per
le EL, non c'è dubbio che ciò sia in buona
parte dovuto all'evento che, negli ultimi vent'anni,
è divenuto il simbolo stesso di questa
fenomenologia. E' senz'altro la serie di fenomeni
più nota e più studiata di questa categoria
e quella che tuttora suscita le maggiori speranze di un
avanzamento nelle conoscenze scientifiche su questi
fatti.
Si tratta delle cosiddette "luci di Hessdalen".
La valle di Hessdalen, lunga circa dodici chilometri, si
trova nella Norvegia centrale, non lontano dal confine
svedese, a centodieci chilometri a sud-est della
città di Trondheim ed a trenta chilometri a
nord-ovest di Roros. Il centro abitato di rilievo
più vicino è Ålen, circa dieci
chilometri a nord-est. Situata ad un'altezza sul livello
del mare fra i 600 ed i 700 metri e circondata da
montagne, è scarsamente popolata (appena 150-200
abitanti sparsi in fattorie isolate). E' una zona ricca
di giacimenti minerari di ogni tipo (in primo luogo di un
rame ricco di pirite).
Fu lì che, alla fine di novembre del 1981, i
residenti cominciarono a parlare alla stampa di fenomeni
luminosi a volte di lunga durata (fino a varie ore) che
sostavano immobili oppure schizzavano via ad enormi
velocità. Spesso le luci erano sotto l'orizzonte,
oppure appena sopra le cime delle montagne vicine, presso
il suolo o sui tetti delle case, anche a poche decine di
metri di distanza da loro. Quanto all'aspetto dei
fenomeni, essi erano descritti in modo eterogeneo, ma
ricorrevano la "sfera" (anche fino a cinque - dieci metri
di diametro), il "proiettile" o "sigaro" (fino a venti
metri di lunghezza!) e un "albero di Natale rovesciato".
A volte si parlava anche di "dischi" o di "grosse casse
scure" o comunque di oggetti con forma geometrica, magari
visibili dopo l'improvviso spegnimento delle luci, o
ancora di lampi bianco-blu, diffusi nel cielo. Il colore
prevalente era il bianco o il giallo tenue. A volte una
piccola luce rossa si mostrava davanti alle altre.
Più raramente le "luci" erano multicolori. Si
spostavano più di sovente da nord a sud, e talora
&endash; specie in inverno &endash; erano visibili anche
di giorno, anche se la gran parte delle segnalazioni
avvenivano al tramonto, di notte o all'alba. Si giunse
anche a quattro avvistamenti al giorno, ma comunque in
quel periodo le osservazioni erano quasi quotidiane.
Spesso le luci, specie quelle di colore bianco-blu,
lampeggiavano e sembravano salire e scendere seguendo un
moto sinusoidale. Sparivano dopo aver raggiunto
un'oscillazione più ampia (fino a sei gradi), ma a
volte semplicemente si "spegnevano".
Furono registrati pure parecchi rumori insoliti. Nel 1981
gli abitanti di Hessdalen sentivano provenire dal
sottosuolo come il suono di un treno che passasse in una
galleria; altre volte dei "botti" erano uditi spostarsi
attraverso le montagne vicine senza che si riuscisse mai
a risalire alla causa.
In quei primi tempi si constatò che i fenomeni
erano visti più di frequente d'inverno, in autunno
e all'inizio della primavera.
A metà febbraio la NRK, la radiotelevisione
norvegese, inviò un'équipe che filmò
cinquanta metri di pellicola (quattro - cinque minuti di
riprese) con i fenomeni luminosi, ma ripresi da grande
distanza.
Subito le associazioni ufologiche "UFO Sweden" e
(soprattutto) "UFO-Norge" avviarono delle indagini (con
diverse spedizioni di osservazione a marzo, settembre ed
ottobre '82), effettuarono avvistamenti diretti ed il 26
marzo dello stesso anno il gruppo norvegese
convocò una conferenza nella cittadina di
Ålen cui intervennero ben 130 abitanti della
vallata. Diciassette fra costoro descrissero avvistamenti
di una "sfera gialla", dodici di un "sigaro", otto di un
"uovo" e sei un corpo oblungo con una luce rossa e due
gialle. Tre persone avevano notato in concomitanza
all'osservazione interferenze ad apparati
radio-televisivi. Dall'inizio almeno trenta persone
diverse avevano visto i fenomeni (cioè quasi il
20% dei residenti).
Sempre alla fine di marzo un capitano ed un tenente
dell'aeronautica norvegese provenienti dall'aeroporto
militare di Vaernes giunsero sul posto e intervistarono
alcuni testimoni, riferendo poi alla stampa che i
residenti della zona avevano visto oggetti luminosi sin
dal 1944 ma che solo ora la cosa era stata portata a
conoscenza degli estranei. Parlarono di "testimonianze
credibili".
In mancanza di un interesse strutturato e formale da
parte delle istituzioni scientifiche e civili e mentre si
registrava un notevole declino delle segnalazioni, il 3
giugno 1983 ufologi norvegesi, svedesi e finlandesi
diedero vita al "Project Hessdalen", coordinato dagli
studiosi Leif Havik, Odd-Gunnar Roed ed Erling Strand per
"UFO Norway", Håken Ekstrand di "UFO Sweden" e Jan
Fjellender per la Società di Psicobiofisica. Lo
scopo era quello di studiare in maniera sistematica
quella fenomenologia tanto ripetitiva e localizzata. Il
gruppo riuscì ad assicurarsi la collaborazione di
alcuni ricercatori delle Università di Oslo e di
Bergen e del Dipartimento per la Ricerca sulla Difesa, e
con essi un discreto set di strumentazioni per la
rilevazione e la registrazione di una serie di parametri
fisici. Macchine fotografiche con filtri e teleobiettivi
speciali, una camera all'infrarosso, un sismografo, un
laser, un piccolo contatore Geiger, un radar modello
"Atlas 2000" funzionante sulla banda dei 3 cm e portata
di 33 km, visori ad infrarosso, un magnetometro a
controllo di flusso tipo FM 100 ed un analizzatore di
spettro a radiofrequenza da 100 kHz a 1250 MHz facevano
parte dell'ampia panoplia.
Nel frattempo, dopo la già segnalata diminuzione
delle segnalazioni in primavera, nell'estate dell'83 esse
cessarono del tutto, ma per riprendere in autunno, anche
se ad un ritmo inferiore rispetto a quello dell'anno
precedente. Lo stesso aumento si avrà nell'autunno
'84.
A gennaio, dopo una prima presa di contatto con gli
abitanti della zona, i membri del "Project Hessdalen"
distribuirono a tutti un questionario d'avvistamento e il
21 gennaio 1984 diedero il via ad una campagna
sistematica di osservazione che si protrasse sino al 26
febbraio. Nel corso di quei trentasei giorni, da tre
postazione diverse, gli studiosi videro ad occhio nudo,
fotografarono (un centinaio di volte, anche con lunghe
esposizioni) e seguirono con le strumentazioni
numerosissimi corpi luminosi. Vi furono tre osservazioni
visive in concomitanza di rilevazioni radar con segnali
intensissimi. Nella maggior parte dei casi, però,
il radar segnalava qualcosa che non era visibile allo
sguardo e nemmeno alle pellicole fotografiche impiegate.
Secondo l'ingegner Strand, emerso quasi subito come il
leader della ricerca sui fenomeni di Hessdalen,
ciò dipese probabilmente dal fatto che il radar
era regolato per la distanza di 5,5 chilometri. Non a
caso, nei tre episodi di contemporanea rilevazione
visiva/strumentale esso era tarato per una distanza
superiore.
In otto o nove occasioni, quando il fascio di un laser
He-Ne da 0,5 mW fu diretto contro i corpi luminosi, la
conseguenza costante fu che la serie con cui la "luce"
lampeggiava raddoppiò di frequenza e che questo
mutamento cessò nello stesso istante in cui il
laser era spento. Il 20 febbraio Leif Havik ed altri due
testimoni videro una "lucina" rossa sfrecciare
vicinissima ai loro piedi. Non si riuscì a trovare
una spiegazione per quella esperienza a distanza
ridottissima (ad esempio in termini di riflesso da luci
di abitazioni del paese più vicino).
Le velocità registrate dal radar andavano da zero
a 30.000 km/h.
Delle 188 osservazioni registrate fra gennaio e febbraio
alcune furono spiegate come luci di posizione di aerei,
altre come corpi astronomici, ma 53 rimasero non
identificate. Solo quattro foto, purtroppo, risultarono
di qualità tale da mostrare in dettaglio gli
spettri delle luci. La lunghezza d'onda andava da 560 nm
(nanometri) a 630 nm, che però era anche il limite
superiore cui la pellicola impiegata poteva rispondere.
L'analizzatore di spettro non registrò nulla
d'insolito durante le osservazioni dei fenomeni, ma a
volte si ebbero dei curiosi "picchi" intorno agli 80
MHz.
Una caratteristica che ricorrerà spesso nei
fenomeni registrati in via strumentale è che, fin
da quella prima campagna, nel 40% degli avvistamenti
(nell'arco di quattro giorni) si ebbero variazioni del
campo magnetico. Contatore Geiger e visore all'infrarosso
risultarono inutili, forse perché &endash; secondo
gli studiosi &endash; i fenomeni erano molto lontani. Un
altro corpo lasciò una traccia sulla neve.
Nessuna attività sismica fu segnalata dal
sismografo durante quel periodo.
I sorprendenti risultati della campagna furono discussi
con i ricercatori delle istituzioni scientifiche
coinvolte e furono giudicati talmente interessanti da
consentire l'anno dopo, dal 13 gennaio al 10 febbraio
1985, il lancio di una seconda campagna di osservazione
che ottenne un maggiore appoggio istituzionale e di
personale. Ad essa &endash; che utilizzava strumentazioni
analoghe a quelle dell'anno prima anche se di miglior
qualità - partecipò brevemente
l'astrofisico ed ufologo americano Joseph Allen Hynek,
che aveva incontrato i ricercatori del Project Hessdalen
a Londra nell'agosto 1983, quando a quanto stava
accadendo fu concessa la prima grande pubblicità
tra gli ufologi, e che riteneva di grande importanza i
fatti di Hessdalen, tanto da pensare alla formazione di
un gruppo internazionale di scienziati di prestigio,
iniziativa comunque mai neppure avviata a causa della
repentina malattia e scomparsa dell'astrofisico.
Questa seconda campagna diede però risultati
deludenti. I fenomeni degni di attenzione registrati
furono pochissimi e le pessime condizioni meteorologiche
impedirono gran parte delle osservazioni sul campo.
Nell'86 sembrava che le apparizioni delle luci fossero
del tutto cessate (se ne ebbero solo dieci, tutte in
autunno).
Sembrava il momento di tirare le fila.
Le opinioni erano divise. Nel marzo 1982 il fisico Thomas
McClimans, dell'Harbour and Watercourse Laboratory di
Trondheim aveva parlato di fenomeni di rifrazione
atmosferica, dato che sembrava parecchie osservazioni
coincidessero con traffico aereo in transito nelle
vicinanze. L'ufologo Odd-Gunnar Roed, nonostante le
reazioni "intelligenti" in apparenza constatate
più volte era dell'idea che i fenomeni fossero
dovuti a cause naturali "complesse".
Erling Strand era molto più prudente. Se si
trattava di un fenomeno naturale, perché esso si
era registrato solo a Hessdalen e per un periodo di
cinque anni?
Paul Devereux ha scritto poi di esser convinto che si
trattasse di luci derivanti da attività sismiche
che gli studiosi del progetto non erano stati in grado di
riconoscere a causa della loro inesperienza nella
geofisica.
Un ambito di ricerca che solo raramente è
menzionato riguardo ad Hessdalen è quello
rappresentato dalle attività di un gruppo
norvegese di orientamento scettico sui fenomeni insoliti,
ossia il NIVFO. Dopo aver condotto parecchie indagini sul
campo, nel settembre '83 anche con l'ausilio di un
apparato per la misurazione della resistività
elettrica dell'aria e del suolo, sotto la direzione di
Jan Krogh, responsabile dell'associazione per quella
regione, dal 1° aprile al 1° maggio del 1984 il
NIVFO installò nella valle una stazione
meteorologica allo scopo sia di verificare l'ipotesi
delle rifrazioni atmosferiche avanzata da McClimans, sia
quella &endash; avanzata fin da subito da più
parti - secondo la quale i fenomeni potevano essere
ammassi di plasma. Furono lanciati palloni meteorologici
fino ad un'altezza di 1300 metri in almeno venti
occasioni. Krogh dedusse che nella zona si manifestavano
sia rifrazioni sia fenomeni di ionizzazione dell'aria.
Molti altri casi sarebbero stati spiegabili con cause
convenzionali più banali. Il forte vento e la
presenza di un forte gradiente elettrico dell'atmosfera
avrebbero favorito nella vallata la comparsa dei corpi
più insoliti, appunto sotto forma di plasma con
una vita molto superiore al solito. In effetti, un
oggetto avvistato dal NIVFO il 4 settembre dell'82 fece
registrare al contempo un aumento sino a 100 volt/m della
resistività dell'aria rispetto allo zero misurato
prima della sua comparsa.
Il meccanismo generatore dei plasmi, si ipotizzava,
poteva essere una vecchia linea elettrica ad alto
voltaggio che attraversa la valle.
I membri del "Project Hessdalen" si sono dissociati dalle
conclusioni del NIVFO, in primo luogo perché non
si capiva come mai questi fenomeni naturali avrebbero
dovuto fluttuare così intensamente nel corso del
tempo.
Un fatto che va senz'altro tenuto presente è che,
come documentato da un libro di Leif Havik, uno dei
membri del "Project Hessdalen", insieme alle osservazioni
di luci si è avuto anche un certo numero di
avvistamenti di "corpi strutturati" scuri.
Fra il 1986 ed il 1993, ad ogni modo, il numero delle
osservazioni fatte scese quasi a zero, non è del
tutto chiaro se per una diminuzione reale delle
manifestazioni o perché &endash; come di fatto
è accaduto &endash; la mancanza di fondi ridusse
al minimo le attività di ricerca sul fenomeno.
Nella prima metà degli anni '90 il numero di
segnalazioni era stabilizzato sulle venti per anno.
Il "Project Hessdalen" è in sostanza sorto a nuova
vita a partire dal 1994. Ciò in larga parte
è dovuto al fatto che nel 1993 l'ing. Erling
Strand aveva creato, presso l'Istituto di Ingegneria
Ostfold di Sarpsborg, nella Norvegia meridionale,
un'associazione per lo studio dei fenomeni luminosi non
identificati. Nel marzo dell'anno successivo si tenne a
Hessdalen un convegno di studiosi che di fatto
sancì l'inizio di una "nuova era" nello studio di
questo tipo di fenomeni. Giunsero nel paesino oltre venti
scienziati provenienti da Giappone, Russia, Stati Uniti,
Inghilterra, Italia, Austria, Svezia e Norvegia. Molti
erano fisici del plasma e studiosi di fulmini
globulari.
Boris Smirnov avanzava l'idea che si trattasse di
plasmoidi, G. Harnhoff quella di gas ionizzati e tenuti
insieme da un campo elettrico auto-limitato; David
Fryberger anch'egli parlava di gas ionizzati, ma
innescati dai "vortoni", campi elettromagnetici rotanti e
"contenuti" da campi magnetici accompagnati da intense
scariche elettriche di cui ha lui stesso previsto
l'esistenza; Y. Zuo e Paul Devereux erano per la teoria
della tensione tettonica; E. Grigorev per un legame fra
la ionizzazione dei gas atmosferici e l'attività
solare.
Un fatto importante è che con la riunione del 1994
l'astrofisico romagnolo Massimo Teodorani ha fatto la sua
comparsa ufficiale fra gli studiosi di Hessdalen e di
altri fenomeni analoghi. Dapprima Teodorani si è
concentrato sull'analisi dei dati già raccolti in
passato, avanzando fin dal 1995 alcune osservazioni sui
possibili legami fra alcuni dei gruppi di fenomeni
rilevati ad Hessdalen, ed in specie che quelli magnetici
e radio potessero essere legati all'attività
solare, ma rilevando al contempo l'assoluta stranezza di
quanto stava accadendo, visto che i più manifesti
fatti luminosi sembravano in apparenza estranei al
Sole.
Al contempo, egli ha formulato numerose e articolate
proposte per una metodologia sperimentale d'indagine,
volte anche a cercare di verificare ulteriori teorie
fisiche, di natura assai articolata (non escludendo del
tutto quella che le luci di Hessdalen siano, per
così dire, il sottoprodotto della presenza di
tecnologie non terrestri in quella zona).
Nel '95 Strand e un altro ricercatore norvegese sono
venuti in Italia, avviando così una cooperazione
con alcuni radioastronomi.
Dall'agosto 1998, finalmente, una stazione automatica di
rilevamento fu progettata e costruita sotto la direzione
di Strand all'Istituto Ostfold di Sarpsborg, che è
intanto divenuto il centro vitale degli studi su
Hessdalen. Essa include una sofisticata videocamera a
sensore CCD funzionante nello spettro visibile collegata
ad un computer e ad un videoregistratore ed un
magnetometro.
Da allora, sono state registrate parecchie decine di
immagini di fenomeni non identificati, grazie
all'attivazione automatica dei sensori.
Massimo Teodorani nei suoi numerosi saggi ha concluso che
esiste un'evidenza assai forte che il fenomeno di
Hessdalen è associato a perturbazioni magnetiche e
radio e che spesso presenta una forte segnatura radar.
Teodorani sostiene che la teoria "solare" proposta dal
fisico russo dell'Università di Yaroslavl Edward
Grigorev sembra avere dei punti a suo favore. Tale
modello suggerisce che un'interazione con l'atmosfera di
particelle ad alta energia che si generano in occasione
dei massimi di attività solare darebbe il via a
processi di ionizzazione e alla conseguente generazione
di globi luminosi, resi più intensi da una specie
di effetto "lente" in cui aree di ionizzazione dell'alta
atmosfera sarebbero focalizzate verso terra. A favore di
Grigorev per Teodorani starebbero i dati strumentali di
vario genere (magnetometrici, ecc.) registrati da Strand
e compagni in occasione della missione del 1984.
Alla fine di giugno del 2000, su iniziativa di un gruppo
di persone, in larga misura aderenti al "Centro Italiano
Studi Ufologici", a Bologna si è costituito il
"Comitato Italiano per il Progetto Hessdalen", che fra i
suoi scopi ha quello di raccogliere fondi per la ricerca
sia sui fenomeni norvegesi sia su eventuali fenomeni
analoghi in Italia.
Sempre nel 1998, su progetto congiunto dell'Istituto di
Radioastronomia del CNR di Bologna dell'Istituto Ostfold
nacque il progetto EMBLA, cui scopo è lo studio,
mediante ricevitori radio e spettrometri, del
comportamento elettromagnetico dei fenomeni luminosi. Nel
mese di agosto del 2000, grazie anche al supporto del
CIPH, le apparecchiature sono state messe in funzione, ed
alle attività di ricerca hanno partecipato Massimo
Teodorani ed altri scienziati italiani. Acquisendo dati
in maniera automatizzata, si voleva rilevare le emissioni
radio delle "luci", cercando di determinarne
distribuzione energetica spettrale, meccanismo di
emissione e composizione chimica.
Le strumentazioni, piuttosto sofisticate, includevano
ricevitori VLF-ELF, spettrometri, antenne a larga banda e
analizzatori di spettro tutti sottoposti a controllo
computerizzato.
Fu registrato un gran numero di segnali anomali sia di
tipo "spike" sia "doppler", ma furono anche avvistati (e
due volte fotografati) fenomeni luminosi insoliti sotto
forma di corpi pulsanti o fisse, di durata variabile,
anche intensissime. Si trattò di almeno sei tipi
di fenomeni (luci bianche a pulsazione irregolare; luci
deboli con colore cangiante; lampi puntiformi; lampi
diffusi; luci disposte a triangolo; piccole luci immobili
a pochi metri dal suolo). Mentre i primi quattro tipi
corrisponderebbero a quanto già descritto dal
"Project Hessdalen", gli altri sarebbero simili ad
avvistamenti fatti in altre parti del mondo dal carattere
più tradizionalmente "ufologico". Venivano anche
avanzate le prime ipotesi sui meccanismi fisici
all'origine della fenomenologia radio, ossia la presenza
di un acceleratore magnetico, di natura sconosciuta, che
emetterebbe particelle semi-relativistiche.
L'importanza cruciale di Hessdalen sta nel fatto che
è grazie agli studi su quegli eventi che lo studio
strumentale delle EL, accompagnato dalle osservazioni sul
campo di Devereux e del suo gruppo e da ricerche
precedenti di cui si è già detto, ha
perlomeno preso un posto altrettanto rilevante degli
approcci teorici e statistici in precedenza più
importanti. Le tecnologie impiegate, per quanto in una
generale ristrettezza di mezzi, hanno mostrato la
concreta fattibilità della raccolta e dell'analisi
di parametri fisici, quantitativi, sulle EL e dunque
l'opportunità di considerare con uno status almeno
pari alla tradizionale raccolta delle testimonianze
"casuali" ed improvvisate le osservazioni sistematiche di
fenomeni aerei insoliti ripetitivi e localizzati.
Malgrado Hessdalen, però, la controversia circa le
cause generatrici delle earth lights prosegue Nel suo
saggio del '97 in precedenza citato Paul Devereux era
ancora piuttosto prudente. Dopo aver ricordato le
analogie con i fulmini globulari, i "superfulmini" e i
"folletti" e i "red sprites" scoperti nel 1994 nell'alta
atmosfera, e anche le luci sismiche, faceva notare come
il problema rimanesse perché non tutti i temporali
generassero tempeste, non tutti i terremoti fenomeni
luminosi, ecc. Le earth lights "si inseriscono in questa
gamma di misteriose luci che il nostro pianeta genera".
Pur ritenendo ci fosse senz'altro un rapporto con le luci
sismiche &endash; e forse con i fulmini globulari
&endash; Devereux si diceva "indeciso", perché le
EL hanno "proprie caratteristiche che le definiscono", e
fra di esse il fatto che non occorrono né
temporali né terremoti per la loro comparsa.
Inoltre (come a Hessdalen) la loro vita media sembra
essere superiore sia a quella dei fulmini globulari sia
delle EQL. Il fatto che si supponga trattarsi di un
qualche tipo di plasma si accompagnerebbe ad altri
problemi: le EL sembrano "spegnersi" ed "accendersi"
rapidissimamente, essere in grado di inviare la luce in
maniera monodirezionale, esser dotate di massa ad un dato
istante e del tutto prive di peso un istante dopo.
Devereux pertanto suggeriva che potesse trattarsi di
"eventi macro-quantali che mostrano al nostro livello
percettivo caratteristiche che probabilmente appartengono
in qualche modo al fluttuante campo probabilistico del
primevo oceano quantistico subnucleare da cui sorge tutta
la materia e tutta l'energia".
Ricordava a tal proposito come il fisico David Fryberger
stesse sviluppando una teoria secondo cui le EL
potrebbero essere dovute, come accennato a proposito di
Hessdalen, all'esotica particella subnucleare ancora
sconosciuta che lui ha denominato "vortone".
Problema ancor più imbarazzante e di nuovo da
porre al centro dell'attenzione, per Devereux, è
che le EL in certe osservazioni sembrano mostrare la
già descritta forma di "intelligenza rudimentale".
Citava altri casi del genere, e si spingeva a non
escludere che le "luci" possano rappresentare "una forma
di coscienza geofisica". Questa idea era collegata agli
studi d'avanguardia sulla coscienza di Roger Penrose e
Stuart Hameroff, che ad avviso di Devereux suggeriscono
che la coscienza possa essere una proprietà
inerente allo stato dei quanti. Ricordava pure come fin
dagli anni '70 Persinger avesse elaborato il concetto di
"geopsiche", ossia la teoria secondo cui in certe
condizioni potrebbero svilupparsi complesse interazioni
fra l'elettricità cerebrale e le energie
geofisiche.
Inoltre, non si poteva negare neanche il ripetersi di
episodi tipo poltergeist in località interessate
da EL, come nel villaggio inglese di Linley, nel 1913.
Insieme con Persinger, che nel 1986 con Livingston
Gearhart aveva pubblicato in merito un suo scritto,
Devereux riteneva che migliori candidati per il
manifestarsi di questi "effetti collaterali" talora
concomitanti alle EL fossero cambiamenti improvvisi
(verso l'alto) del campo geomagnetico.
Contro le obiezioni dei sostenitori dell'ufologia
tradizionale, Devereux concludeva che a volte i plasmi
(di cui le EL potevano essere una variante) di giorno
potevano apparire come corpi metallici, che a volte le
EQL erano state descritte come di dimensioni di vari
metri di diametro e di durata fino a dodici minuti, ecc.
Insomma, il "nucleo" degli avvistamenti "genuinamente non
identificati" poteva esser collocato nell'alveo delle
EL.
E così chiudeva un paragrafo del suo saggio:
Con la crescita
della ricerca sul campo e con le prime letture
strumentali legate ad osservazioni di luci non spiegate,
la sensazione generale è che sia solo una
questione di tempo prima che si verifichi un importante
incontro scientifico con una luce tellurica. Per i
cacciatori di luci sarà un fatto importante al
pari dell'atterraggio di un disco volante nel cortile
della Casa Bianca per un entusiasta degli
ET.
Il settore "Luci Telluriche" della Commissione Fenomeni
Luminosi in Atmosfera del Centro Italiano Studi
Ufologici, costituito nel 1999, ha avviato varie
iniziative di studio sulle EL. La prima è
rappresentata dalla creazione di una bibliografia
generale sull'argomento la cui versione più
recente conta 653 entrate. La potete trovare nella Terza
Parte di questa monografia. Essa include dati i
più accurati possibili circa testi in varie lingue
pubblicati nel mondo a partire dalla seconda metà
del XVII secolo, accompagnati talora da un breve abstract
sul loro contenuto. Sono inoltre in corso ricerche
storiografiche in biblioteche ed archivi destinate alla
ricostruzione di altri casi "storici" di luci telluriche
verificatisi in Italia ed all'estero.
A partire dal dicembre 2000 è stata avviata la
fase preliminare per la creazione di un database
denominato E.L.I.A. ("Earth Lights International
Archive"). Esso dovrebbe includere i dati essenziali
relativi a tutte le manifestazioni ripetitive di EL nel
mondo. I campi da inserire sono finora: un numero
progressivo; la nazione; l'indicazione dello stato,
regione, provincia, contea, ecc. dove accadono i
fenomeni; la località esatta; le coordinate
geografiche di essa; la prima data di osservazione dei
fenomeni; l'ultima data di osservazione dei fenomeni; i
nomi locali del fenomeno; un sunto estremo delle sue
caratteristiche e le fonti relative al caso. Già
nella fase preliminare di raccolta dati, il numero di
entrate ha superato le 150. La necessità
dell'acquisizione di dati di miglior qualità su
molti degli eventi in discorso costituirà
l'occasione per stabilire o rafforzare scambi di dati con
i ricercatori stranieri attivi nel settore EL.
Altro obiettivo di rilevanza principale è
costituito dalla ricerca attenta di possibili siti
italiani in cui attualmente siano in corso fenomeni del
tipo in discorso e dall'avvio di indagini sul campo su di
essi. Per tale sforzo, saranno impiegate le risorse umane
ed organizzative e le metodologie del Centro Italiano
Studi Ufologici, anche se &endash; quale
sotto&endash;obbiettivo di quello enunciato &endash; ci
sarà anche la possibile individuazione di tecniche
d'inchiesta specifiche per le EL. La prima fase di
un'indagine su un caso del genere è stata condotta
fra il 2000 e gli inizi del 2001 nell'Italia centrale da
alcuni ricercatori del CISU, e si attendono i suoi
approfondimenti per una più organica valutazione
degli eventi.
Il passo successivo e più ambizioso sarà,
nel caso in cui le indagini su qualche presunto episodio
di EL ripetitive in Italia militino per la presenza di
caratteri ragionevolmente anomali, dalla
possibilità di applicare nel nostro paese
tecnologie e metodi impiegati all'estero a partire dagli
anni '70 (negli Stati Uniti, in Norvegia, nel Messico, in
Australia, ecc.) per cercare di registrare e misurare in
maniera più oggettiva le caratteristiche fisiche
di questi fenomeni.
Per una realizzazione ottimale di questi passi di studio,
concepiti in maniera piramidale dal primo all'ultimo, la
Commissione FLA desidera la collaborazione di tutti
coloro che ritengono di poter fornire dati anche
marginali o indiretti relativi alle luci telluriche, in
specie a casi italiani.
Di volta in volta, per spiegare le EL sono state invocate
cause quali emissioni di gas infiammabili dal terreno,
effetti piezoelettrici sui minerali presenti nel
sottosuolo, miraggi, invenzioni giornalistiche, emissioni
di plasmi, fulmini globulari ricorrenti, fuochi di
Sant'Elmo, fenomeni luminosi legati alla tensione
prodottasi nelle faglie sismiche e così via, sino
ad altre più esotiche, quali la presenza di
"fantasmi", di "spiriti malvagi" e di "basi
extraterrestri". Lo scopo ultimo dei nostri studi
è di verificare la realtà di queste
affermazioni e di queste esperienze.
(*) Da "LUCI
LONTANE. Il fenomeno delle 'luci fantasma' e la sua
letteratura", Edizioni UPIAR, C.so Vittorio Emanuele II,
108, 10121 Torino, oppure direttamente dal sito
WEB http://www.upiar.com
© Copyright Giuseppe Stilo
/UPIAR (2001)
© Copyright
itacomm.net
(2001-2002)
Quale espressione
dell'attività intellettuale dell'autore, questo
materiale è protetto dalle leggi internazionali
sul diritto d'autore. Tutti i diritti riservati. Nessuna
riproduzione, copia o trasmissione di questo materiale
può essere eseguita senza il permesso scritto
dell'autore. Nessun paragrafo e nessuna tabella di questo
articolo possono essere riprodtti, copiati o trasmessi,
se non con il permesso scritto dell'autore. Chiunque
utilizzi in qualsiasi modo non autorizzato questo
materiale è perseguibile a norma delle vigenti
leggi penali e civili.
Inizio
Pagina